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La presa di coscienza di venerdì 7 marzo 1986

La presa di coscienza dei piloti nel 1986

L’incidente di Santos durante il Rally del Portogallo ha avuto un impatto devastante sul pubblico presente. Questo tragico evento solleverà immediatamente gravi preoccupazioni riguardo la sicurezza non solo dei piloti, ma anche degli spettatori, e porterà ad una presa di coscienza generale. I piloti scelsero di evidenziare la necessità di cambiamenti urgenti nella gestione e nella sicurezza delle gare.

La stagione 1986 del Campionato del Mondo di Rally è ricordata non solo per le competizioni mozzafiato, ma anche per un evento tragico che ha lasciato un segno indelebile nella storia dello sport automobilistico. Al Rally del Portogallo, un evento drammatico e cruciale cambiò irreversibilmente il corso del rally: l’incidente di Joaquim Santos. Questo episodio è stato talmente scioccante che, il giorno 7 marzo 1986, giorno in cui è stata scattata la foto sopra, i piloti e i copiloti hanno deciso collettivamente di fermarsi, compiendo un atto di consapevolezza e responsabilità senza precedenti nella storia del rally. Ci fu una presa di coscienza collettiva.

Questa decisione, sebbene osteggiata in maniera verosimilmente malcelata da figure influenti come Jean Todt e Cesare Fiorio, segnò un punto di svolta. Da quel momento, ogni manifestazione sarebbe stata vista sotto una nuova luce di maggiore sicurezza. Tuttavia, perché questo cambiamento è avvenuto realmente, è stato necessario molto più di un semplice gesto di solidarietà tra piloti. L’incidente di Santos durante il Rally del Portogallo ha avuto un impatto devastante sul pubblico presente.

Questo tragico evento solleverà immediatamente gravi preoccupazioni riguardo la sicurezza non solo dei piloti, ma anche degli spettatori. I piloti, consapevoli della gravità della situazione, scelsero di usare il loro potere collettivo per evidenziare la necessità di cambiamenti urgenti nella gestione e nella sicurezza delle gare. Questa decisione fu malvista da alcuni tra i dirigenti delle squadre e dell’organizzazione, che temevano che i loro investimenti e le operazioni loro potessero risentire negativamente della maggiore attenzione e delle nuove regolamentazioni che certamente avrebbero richiesto stanziamenti maggiori e tempi di adeguamento. Tra questi dirigenti, Jean Todt e Cesare Fiorio ebbero atteggiamenti diversi, che in modo significativo influenzarono sul futuro dello sport nelle stagioni successive.

Al Rally di Portogallo, dopo la prima speciale (con le tre Lancia di Alen, Toivonen e Biasion già in testa) ci fu questo sciopero bianco dei piloti, che in seguito all’incidente di Santos con la Ford RS200 che uccise tre spettatori, decisero di non partire per le speciali successive per le scarse misure di sicurezza dei tifosi lungo i tracciati. Tra le altre cose, Toivonen fu portavoce della protesta di tutti i piloti ufficiali che partecipavano al rally.

Il documento dei piloti in Portogallo
Il documento dei piloti in Portogallo

Dopo il tragico incidente, gli equipaggi iniziarono a considerare con maggiore serietà la sicurezza durante le ricognizioni. Quando venivano ravvisate condizioni di potenziale pericolo, non esitavano a richiedere modifiche alle Prove Speciali. Questo accadde anche al Tour de Corse, dove un documento fu presentato alla direzione gara il 28 aprile, indicando chiaramente le condizioni pericolose delle tratte. Purtroppo, queste segnalazioni vennero ignorate dalla direzione gara, senza che venissero adottati provvedimenti per migliorare la sicurezza delle prove. Questo atteggiamento negligente porterà inevitabilmente a conseguenze fatali e mise in evidenza il divario tra le richieste di sicurezza da parte dei piloti e le risposte delle autorità sportive.

Il 2 maggio 1986, il mondo del rally fu nuovamente colpito da una tragedia. La fatale Prova Speciale numero 18, che costò la vita ad Henri Toivonen e al copilota Sergio Cresto, non era stata segnalata come pericolosa. Questo evento, che si rivelò uno dei più tragici nella storia del rally, evidenziò ulteriormente quanto fosse fondamentale prendersi cura dei segnali di allarme e delle richieste di modifica evidenziate dai piloti. Anche se quell’incidente specifico non era stato previsto, la sua occorrenza sottolineò l’importanza di una cultura della sicurezza rigorosa e la necessità di rivedere costantemente le condizioni delle gare con un occhio critico e responsabile.

Tuttavia, un altro elemento pericoloso e controverso emerge e fu indicativo dei problemi più ampi dello sport: l’atteggiamento del presidente della FISA, Jean-Marie Balestre. Il 30 aprile, durante una conferenza stampa, Balestre attaccò con parole pesanti i giornalisti, accusandoli di strumentalizzare i morti del Portogallo per criticare la federazione. Questo atteggiamento combinato alla riluttanza nel riconoscere l’importanza delle segnalazioni di pericolo dei piloti, portò alla luce un problema sistemico nella gestione della sicurezza delle gare.

Balestre proseguì accusando i piloti ufficiali di discriminare i privati ​​con le loro richieste di modifica e scioperi. Queste accusano divisero ulteriormente la comunità del rally, gettando una luce negativa non solo sull’organizzazione, ma anche sulla gestione delle relazioni tra i diversi attori dello sport. Tuttavia, il tragico incidente del 2 maggio ha fatto capire a tutti che il limite era stato abbondantemente superato. Di fronte a un ciclone di critiche e riflettendo sulla tragedia, anche Balestre dovette riconoscere la necessità di cambiamento. In un’ulteriore conferenza stampa, Balestre dichiarò che era giunto il momento di smettere di tutelare solo gli interessi economici degli investitori e che era ora di dare priorità alla sicurezza, segnalando un cambio di rotta importante, anche se tardivo.

Anche Cesare Fiorio, profondamente turbato dalla tragedia, riconobbe che l’equilibrio tra automobili, strade ed equipaggi era venuto meno. Visibilmente commosso, Fiorio parlò della difficile convivenza tra le necessità di spettacolarità del rally e la sicurezza dei partecipanti e del pubblico. La sua reazione, tanto emotiva quanto lucida, mise ulteriormente in rilievo la complessità di un equilibrio che si era spezzato.

Jean Todt, tuttavia, mantiene un atteggiamento diverso. Nonostante avesse il potere di ritirare l’unica Peugeot 205 T16 rimasta in gara, decise di proseguire la competizione. I punti in palio per il Campionato del Mondo Costruttori erano troppo importanti per essere ignorati. Todt, consapevole delle necessità di giustificare gli investimenti richiesti ai suoi datori di lavoro, scelse di continuare con la competizione, mettendo in secondo piano la tragedia appena avvenuta. Questo gesto suscitò molte critiche, ma rifletteva anche la difficoltà di bilanciare aspirazioni competitive e responsabilità etiche.

Il Rally del Portogallo del 1986 e le conseguenze che seguirono furono un punto di svolta nel mondo del rally. Gli incidenti e le morti sottolineavano in modo drammatico la necessità di una revisione delle procedure di sicurezza. Se da un lato le tragedie misero in evidenza le mancanze delle autorità responsabili, dall’altro, portarono a una maggiore consapevolezza tra i piloti circa il loro ruolo e la loro capacità di influenzare positivamente il cambiamento.

Questo episodio dimostrò che, a volte, per cambiare realmente le cose devono accadere eventi drammatici e devastanti. Oggi, guardando indietro alla stagione 1986, possiamo vedere come quei momenti tragici hanno gettato le basi per un rally più sicuro e responsabile. Il cambiamento non venne immediatamente, ma la consapevolezza acquisita attraverso il dolore e la perdita portò una maggiore enfasi sulla sicurezza nelle competizioni future, dimostrando che il coraggio e la determinazione dei piloti e degli organizzatori possono davvero fare la differenza.