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Jorge Recalde e quel rally con un toro come premio

Jeorge Recalde

I rally dell’America latina, e dell’Argentina in particolare, hanno un fascino irresistibile. Noi le corse le intendiamo in questa maniera, lunghe, impegnative, massacranti; stare al volante parecchie ore non ci affatica. Per molti anni siamo stati esclusi dall’automobilismo internazionale, dal resto del mondo. Dunque abbiamo dovuto inventarci una maniera di correre tutta nostra, molto lontana da quel superprofessionismo a ogni livello che caratterizza il rallismo europeo. Eppure, anche noi siamo lavoratori del volante.

Può accadere, nei rally dell’America Latina, di ricevere in premio un toro. Mi capitò una quindicina di anni fa, durante una corsa che si disputava nella Amazzonia peruviana, la “Marginal de la Selva”: una lunga prova speciale sterrata di 3500 chilometri tra piantagioni di coca, con partenza e arrivo a Lima. Avevo a disposizione una Renault 12 Alpine, nel bagagliaio erano stipati i ricambi e sul tetto trovavano posto le gomme di scorta, rigorosamente di serie. Al traguardo di ogni tappa era previsto un premio in natura per il vincitore. A San Ignacio, un insediamento che rappresentava la linea di metà gara, arrivai davanti a tutti e vinsi un toro. Immediatamente, senza neppure togliermi la tuta, improvvisai un’asta nella piazzetta del villaggio. Riuscii a vendere l’animale all’unico macellaio della zona, intascai i soldi e ripresi la gara ripercorrendo al contrario lo stesso itinerario.

Un’altra volta, durante il “Gran Premio di Bolivia”, ci fermammo a pernottare in un luogo in cui non c’era nulla, né luce né acqua; dormimmo in tende allestite dai militari. Era il villaggio in cui, qualche tempo prima, era stato ucciso Ernesto Che Guevara.

I rally dell’America latina, e dell’Argentina in particolare, hanno un fascino irresistibile. Noi le corse le intendiamo in questa maniera, lunghe, impegnative, massacranti; stare al volante parecchie ore non ci affatica. Per molti anni siamo stati esclusi dall’automobilismo internazionale, dal resto del mondo. Dunque abbiamo dovuto inventarci una maniera di correre tutta nostra, molto lontana da quel superprofessionismo a ogni livello che caratterizza il rallismo europeo. Eppure, anche noi siamo lavoratori del volante.

Il “Gran Premio de la Hermandad”, letteralmente della Fratellanza, si corre da Rio Grande, nella Terra del Fuoco, quindi Argentina, a Puerto Porvenir (Avvenire) in Cile, e ritorno. In totale fanno 8mila chilometri, sotto la pioggia e su strade dove al fango si alterna il ghiaccio perché il rally si disputa in agosto, che a questa latitudine vuol dire inverno. Il Gran Premio de la Hermandad l’ho vinto 5 volte consecutive, dall’81 all’85, con una Renault 18 di fabbricazione argentina. È una competizione molto spettacolare. Il giorno della partenza a Rio Grande è festa solenne. Per la gente di questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini è l’occasione per riprendere i contatti col mondo. Il valico di frontiera tra Argentina e Cile è lasciato aperto al passaggio degli equipaggi, quindi non si fa dogana. Fino a qualche anno fa, quando in Argentina l’inflazione era alle stelle, capitava di vedere qualche vettura da corsa rientrare dal Cile più bassa rispetto alla tappa inversa. Nei bagagliai c’erano impianti stereo, videoregistratori e altro materiale hi-fi acquistati a prezzi vantaggiosi. Dunque, molto rally e un po’ “duty free”.

I piloti argentini, e in genere tutti i latino americani, hanno imparato ad arrangiarsi e a improvvisare. Nessuno prova molto, le ricognizioni sono limitate all’indispensabile e fino a metà degli anni ’80 non si utilizzavano le note. Pur di correre, siamo disposti a qualsiasi sacrificio. Anche di affrontare un viaggio di migliaia di chilometri con la stessa vettura con cui poi disputeremo la gara.

Ne rammento una in particolare, perché è legata a un successo importante, il rally “Camino del Incas” (Sentiero degli Incas), in Perù nel 1980. Aveva lasciato Cordoba con la Renault 12 da corsa, il meccanico che fungeva anche da coequipier, le solite gomme di scorta caricate sul tetto e i ricambi nel bagagliaio. Guidando ininterrottamente giorno e notte per 3500 chilometri raggiunsi Lima in 36 ore. Finalmente potevo riposare un po’; mi ero quasi dimenticato che cosa fosse un letto.

Controllai la Renault, quindi partecipai alla corsa peruviana, una classica in America latina con i suoi 3mila chilometri di strade sterrate molto impegnative, vincendola. Dopo aver intascato i premi, mi sobbarcai altri 3500 chilometri per rientrare a Cordoba. Totale, 10mila chilometri con la vettura da gara. Non ho mai considerato questo avvenimento un’impresa straordinaria. Per noi argentini situazioni come quella appena descritta sono del tutto naturali, né ci arrendiamo di fronte alle difficoltà.

Durante una “Transchaco”, una maratona di 2100 chilometri lungo i sentieri nelle umide foreste del Paraguay, completammo una tappa di 400 chilometri in 20 ore, dalle 6 della mattina alle 2 della mattina seguente: avanzavamo in un mare di fango utilizzando le catene da neve.

In Argentina lo sport automobilistico si identifica con le vetture “col tetto”, dunque con le berline, e con le corse su strada, i rally e fino a qualche tempo fa anche con le competizioni del Turismo de Carretera, che erano una specie di Mille Miglia latino americana, un po’ rally un po’ gare di velocità in linea, lunghe anche 4mila chilometri. Le tappe coprivano la distanza da una città all’altra, le medie erano attorno ai 200 chilometri orari; sui rettifili che corrono lungo le praterie anche per una ventina di chilometri, le Turismo de Carretera raggiungevano i 250-260 km/h. Oggi le vetture di questa categoria gareggiano soltanto in autodromo o in circuiti semipermanenti.

Così come Buenos Aires è il centro dell’attività in pista, la grande provincia di Cordoba lo è per i rally. L’ottanta per cento dei rallisti argentini è cordobese; io, Gabriel e Juan Raies, Pablo Peon e Jorge Bescham siamo tutti “cordobes”. Ci sono anche ottimi preparatori: una grande passione e l’arte di arrangiarsi li porta a compiere autentici miracoli con le Renault Gtx, le Fiat Regatta e le Volkswagen Gol, tutte di fabbricazione nazionale perché quelle di importazione non sono ammesse nel campionato argentino. Di giorno fanno i meccanici mentre la notte allestiscono le vetture da gara.

In questa regione le corse su strada hanno una solida tradizione e un grande seguito. Ciò è dovuto soprattutto alla facilità con cui possono essere allestiti percorsi molto interessanti, essendo Cordoba una provincia con una grande varietà di strade sterrate dal fondo eccellente, in pianura e in montagna, e una collaudata macchina organizzativa. È per questo motivo che il rally di Argentina, tranne in qualche occasione, ha in Cordoba la sua sede naturale. Ed è anche l’unico rally di rilievo internazionale che si disputa nel continente americano. Per nessuna ragione al mondo un pilota argentino rinuncerebbe a partecipare alla “Carrera Mundial”.

Tratto da un articolo di Jorge Raul Recalde su Rallysprint numero 3 di luglio 1994