Storia della Fiat 124 a cura di Tjaarda, Manuello e Pianta
La Corvette era lunga e affusolata, mentre la Fiat 124 era più corta e tozza. Era quindi molto difficile adattare la linea su di una macchina di proporzioni così diverse: dopo un lungo lavoro fatto di molti tentativi e continui ritocchi finii per disegnare una macchina diversa. Quando si decise di passare dal piano di forma al mascherone in legno non ero più alla Pininfarina e vidi la macchina finita solo quando venne presentata ufficialmente. Ecco la breve storia della 124 Spider, che fu frutto di un lungo e difficile lavoro di stilizzazione e non di un “colpo di genio”, come qualcuno potrebbe pensare.
Se la Fiat 124 (la storia cronologica della vettura è disponbile qui) dopo decenni dalla sua presentazione suscita ancora tanto entusiasmo vuol dire che è stata frutto di un grande lavoro: l’incredibile estro del designer Tom Tjaarda, l’abilità del “sarto” che ne ha concretato le idee, la Pininfarina, la competenza di chi ha pensato come costruirla, Dino Manuello e infine le eccezionali doti di guida di due “leggende” dello sport del volante che l’hanno portata al successo nelle corse: Giorgio Pianta, già esponente del Reparto Corse Fiat e Arnaldo Bernacchini, che ci si è divertito, vincendo in giro per l’Europa: ha vinto il Rally del Portogallo nel 1974 ed è stato Campione Europeo con la Fiat 131, figlia naturale della 124 Abarth. In una tavola rotonda del 2006 organizzata dall’AISA e dal Registro Nazionale Fiat 124 Sport Spider di Modena, con la collaborazione del Museo Nazionale dell’Automobile Carlo Biscaretti di Ruffia di Torino, è stato possibile ricostruire la storia e le ambizioni di quel progetto tramite i racconti dei suoi “papà”.
Tom Tjaarda e il disegno della Fiat 124
“Vi chiederete come mai uno di Detroit venga a Torino per disegnare una macchina che vive da 40 anni. Quando ero studente di architettura in America, ero innamorato del design italiano e lo seguivo con grande attenzione attraverso le riviste specializzate – ha raccontato Tom Tjaarda –. In particolare, ammiravo molto le auto disegnate da Pininfarina per l’armonia delle proporzioni, delle superfici e dei dettagli interni. Mi rendevo conto che nel campo delle automobili il meglio veniva sempre da Pininfarina e così cominciai a desiderare di essere parte di questo fenomeno”.
“Nell’ultimo anno di università, ebbi occasione di disegnare una macchina. I disegni vennero mandati dal mio professore alla Ghia, che mi propose di venire a lavorare in Italia. Così, dopo due anni, ho raggiunto il mio obiettivo di lavorare alla Pininfarina, dove mi capitò l’occasione di disegnare questa macchina importante. La linea della 124 deriva da quella della “Corvette Rondine”, un prototipo realizzato per la General Motors, presentato al Salone di Parigi del ’63. Il disegno non rispecchiava lo spirito della Corvette per cui non ebbe seguito, ma la linea era piaciuta e così mi chiesero di adattarla alla 124 Spider”.
“Questo era il problema più complesso, perché la Corvette era lunga e affusolata, mentre la 124 era più corta e tozza. Era quindi molto difficile adattare la linea su di una macchina di proporzioni così diverse: dopo un lungo lavoro fatto di molti tentativi e continui ritocchi finii per disegnare una macchina diversa. Quando si decise di passare dal piano di forma al mascherone in legno non ero più alla Pininfarina e vidi la macchina finita solo quando venne presentata ufficialmente. Ecco la breve storia della 124 Spider, che fu frutto di un lungo e difficile lavoro di stilizzazione e non di un “colpo di genio”, come qualcuno potrebbe pensare”.
“Io ho disegnato molte macchine alla Pininfarina, una delle quali era la Corvette Rondine. Come ho raccontato, ho avuto molte difficoltà ad adattare la sua linea lunga e affusolata alla 124, più corta e tozza. A forza di cancellare e di ritoccare finii per fare i buchi nella carta del piano di forma finchè non intervenne Martinengo, il nostro direttore dello stile, che disse: ”Ora basta! E’ un mese che ci lavori sopra e per me va benissimo. Cominciamo a fare la scocca!”. La macchina venne quindi impostata più o meno come quella che era disegnata sulla mia carta così consumata. Io poi sono andato via dalla Pininfarina e non ho potuto seguirne gli sviluppi. Certo qualche modifica è stata fatta, come nel disegno della bocca e nelle dimensioni dei fari, frutto del lavoro del team che lavorava sul progetto”.

Dino Manuello e le linee di assemblaggio
“Anch’io sono appassionato di automobili e questa passione l’ho sempre applicata anche nel mio lavoro, che consisteva nello studiare, sviluppare e affinare le attrezzature, i mezzi di produzione, i cicli e i flussi di lavoro sulle linee di assemblaggio”. Esordisce così Dino Manuello, un altro dei genitori della Fiat 124. “Quando sono arrivato in Pininfarina, la produzione della 124 Spider, il cui numero interno di identificazione era 144, era appena iniziata, ma con metodi tradizionali e piuttosto artigianali”.
“Il mio compito fu quello di industrializzarla. Nel 1967, dopo i primi colloqui con l’azienda, mi diedero il compito di disegnare i parafanghi della 124. Nel 1972, quando si cominciava a parlare della versione rally, mi dedicai allo sviluppo dei rostri paraurti affinché si potessero utilizzare le staffe originali. Nel 1973 dovetti industrializzare le traverse di rinforzo grecate richieste dalle normative USA, un lavoro che mi diede parecchio da fare perché durante la saldatura tendevano a svergolarsi”.
“Nell’agosto 1978, abbiamo rivoluzionato completamente le officine di lastro-ferratura poiché la Fiat aveva richiesto di raddoppiare la produzione della vettura. Fu una impresa non da poco, ma ce la facemmo. Abbiamo spostato le linee di produzione degli altri modelli per fare posto alle nuove attrezzature automatizzate ed in particolare ai robot di saldatura che in automatico facevano la cianfrinatura (operazione di piegatura dei lembi sulla lamiera con rotazioni normalmente di 90°) e la saldatura delle porte, dei cofani, dei parafanghi e dei longheroni. Con questi accorgimenti la produzione della 124 spider venne portata a livello industriale”.
“Ricordo che, a metà ottobre di quell’anno, non ero ancora riuscito a partire per le ferie perché volevo verificare che si raggiungesse la produzione programmata di 120 vetture al giorno. Riuscii a partire quando raggiungemmo quota 118, tranquillizzato dalla promessa del capo-officina che il giorno successivo si sarebbero raggiunte le 120 unità. Così, mentre nel 1976, decimo anno di produzione della 124 Spider, era stata raggiunta e festeggiata la 100.000-esima vettura prodotta, una sera del 1979 ci trovammo già a festeggiare la 150.000-esima. Dal 1982 al 1985, si passò alla versione Spider Europa”.
“La fine della produzione della spider lasciò un vuoto importante perché erano state raggiunte 200.000 unità, un considerevole record di produzione di un singolo modello per la Pininfarina. La linea di produzione della 124 Spider nasceva con l’arrivo del pianale che era prodotto all’esterno (dalla ditta Maggiora, dove il pianale 124 veniva tagliato, risaldato e rinforzato). Dal magazzino, il pianale veniva portato sulla prima stazione dove ne venivano controllate le dimensioni principali (archi passaruota, battute dei longheroni, punti di attacco dei paraurti, ecc.) ed effettuate le eventuali riprese necessarie”.
“Veniva poi trasferito (all’inizio manualmente e poi con pick-up automatici) alla prima stazione di assemblaggio: con otto pinze di saldatura manuale venivano assemblati l’ossatura del collegatore (elemento in lamiera stampata di collegamento fra i parafanghi posteriori e le fiancate), i rinforzi delle cerniere, il fianchetto anteriore interno, il rinforzo del longherone e le staffe dei sedili. La linea avanzava in automatico con una cadenza di 7,33 minuti al momento della massima produzione”.
“Un paranco sollevava il pianale e lo portava alla seconda stazione dove c’era il mascherone d’assemblaggio, quello che dava la conformazione alla vettura. Mentre la scocca della 124 non ha mai avuto grossi cambiamenti, ma solo pochi ritocchi di rinforzo e di adeguamento all’evoluzione delle varie normative, per cui è rimasta in tutti i 19 anni di produzione sostanzialmente uguale, il mascherone di assemblaggio ha invece avuto graduali evoluzioni a partire dal 1966: ad esempio, mentre all’inizio le fiancate venivano infilate manualmente nel mascherone, successivamente venivano prelevate da appositi pick-up dalle attrezzature ai lati della linea (dove venivano assemblati i parafanghi, i passaruota esterni ed il rinforzi dei longheroni esterni) e portate sul mascherone”.
“Qui venivano caricati la “vasca dei pesci”, come veniva chiamata in gergo la traversa sotto il parabrezza, e poi il curvano posteriore (traversa in lamiera alla base del lunotto) e il rivestimento del collegatore posteriore. Poi, veniva chiuso il tutto e la scocca veniva imbastita manualmente per passare alla stazione di completamento, dove venivano dati più punti per fermare le parti imbastite e venivano caricati altri particolari, come i rinforzi dell’arco passaruota interno anteriore e posteriore. La stazione aveva quattro trasformatori ed altrettante pinze di saldatura”.
“Il tutto veniva poi traslato su una stazione “alto e basso”: qui la scocca veniva sollevata per consentire le saldature della parte inferiore (longheroni, collegatore, arco passaruota); in questa stazione abbiamo inserito nel 1976/1977 un primo robot di saldatura per sostituire un omino che fino ad allora, spostandosi su di uno sgabello a ruote, lavorava sotto la scocca con una grossa pinza di saldatura che tra l’altro si surriscaldava costringendolo a frequenti fermate. Nel 1978, quando abbiamo rivoluzionato tutto l’impianto, abbiamo implementato i robot installandone 3 a 6 assi (il primo era solo a 4 assi) che erano in grado di fare tutto il completamento della scocca (vani porte e altro)”.
“A questo punto, la scocca era assemblata. Un traslatore la portava sulla linea di ferratura che aveva un movimento a catena di trenta stazioni, dove si completavano tutte le saldature non a punti. Dopo il controllo che tutto fosse posizionato correttamente, veniva avvitato il ricoprimento del curvano anteriore e si procedeva alla ferratura: montaggio delle cerniere con gli avvitatori e delle porte con delle apposite apparecchiature. Poi la ferratura del cofano e del baule con degli appositi attrezzi. Seguiva una fase di controllo delle lamiere: l’applicazione di una emulsione acqua-olio consentiva di rilevare eventuali bolle da riprendere”.
“Dopo il collaudo finale, un paranco sollevava le scocche e le agganciava su di un nastro trasportatore che girava su tutto lo stabilimento fungendo da polmone per il reparto verniciatura. Qui entravano nei vari tunnel di lavaggio, di fosfatazione e nei bagni di cataforesi. Nei primi anni di produzione si usavano metodi di verniciatura meno efficienti: l’impianto di cataforesi venne installato quando dovemmo affrontare la produzione della Cadillac Allantè Spider. Seguivano vari passaggi per l’applicazione dei fondi e nelle stazioni di sigillatura contro le infiltrazioni e di protezione del sottoscocca con PVC e, infine, nei forni. Dopo una revisione per controllare le eventuali imperfezioni ed effettuare i necessari ritocchi, le scocche passavano al collaudo finale ed erano pronte per passare al montaggio”.
“All’inizio, lo stabilimento di Grugliasco era diviso da una strada, per cui le scocche erano trainate attraverso un tunnel sotterraneo per arrivare al reparto di finizione. Qui venivano montati gli impianti elettrici, i fonoassorbenti, i tappeti, i fari, le cromature. La scocca completa veniva portata al Lingotto dove era meccanizzata e collaudata. Nel 1972, abbiamo cominciato a meccanizzare noi la scocca e quindi a produrre la vettura completa. Un reparto esterno faceva la delibera per il cliente (toelettatura finale, aggiunta di particolari ancora mancanti, collaudo sulla pista del Lingotto e stoccaggio per la consegna)”.

Giorgio Pianta e lo sviluppo della Fiat 124
“Io ho cominciato a correre nel 1958, diventando professionista nel 1962. Ho iniziato con la Lancia e poi sono arrivato in Fiat – ha ricordato Giorgio Pianta –. La 124 Spider l’ho incontrata nel 1973 quando, dopo l’esperienza Opel- Conrero, sono passato alla Abarth come pilota collaudatore. Il mio primo compito è stato quello di mettere a punto una nuova vettura sport Abarth che era la “SE027”: c’era ancora il sig. Abarth come consulente. Questa vettura era molto avanzata, ma aveva qualche problema e venne poi abbandonata”.
“Così ho incontrato la “124 Rally” che era gestita dal Reparto Rally della Fiat, che aveva due capannoni proprio nelle vicinanze della Abarth. La macchina non era competitiva con le Lancia HF. La Abarth fino a quel momento ne elaborava solo il motore e io avevo il compito di mettere a punto la carburazione. Riuscii a migliorare qualcosa, ma la macchina restava poco competitiva. Una mattina ci venne consegnata una 124 bianca, che doveva essere preparata in tempi brevissimi per le competizioni. Con l’ing. Colucci, responsabile dei telai (l’ing. Jacoponi si occupava dei motori) decidemmo prima di tutto di alleggerirla di 100 kg e poi di modificare la distribuzione dei pesi appesantendo il posteriore per migliorare la trazione. Poi feci molti km sulle piste della Pirelli per mettere a punto i pneumatici. Ne tirammo fuori una vettura molto competitiva”.
“La portammo alla Mandria con i piloti che la dovevano portare in gara. Io avevo già fatto delle prove comparative: sulla pista in asfalto, la nuova macchina era più veloce di 7” rispetto alla precedente mentre sulla pista sterrata di 3 km il vantaggio era di 13”: era quindi nettamente più veloce. I piloti, dopo aver provato l’una e l’altra, trovarono la nuova Abarth molto difficile da guidare. L’ing. Lampredi decise sul campo che la macchina andava bene così e che i piloti avrebbero dovuto adattarvisi con l’allenamento”.
“Questa macchina riuscì quasi a vincere il Campionato del Mondo. Tutto si decise in Canada, dove andammo con tre vetture; c’era anche la Lancia con una Stratos e una Beta Coupè. Alen si classificò al primo posto, ma dopo un’ora dall’arrivo arriva un comunicato che lo squalificava a causa dell’infrazione dei limiti di velocità di uno dei nostri furgoni di assistenza! Io feci subito reclamo ma senza esito”.
“Oggi si può dire: il reclamo contro di noi l’aveva fatto la Lancia, la cui macchina meglio classificata era solo terza dopo le due Alpine Renault che si aggiudicarono la corsa. Minacciai Audetto di fare reclamo per irregolarità della sua Beta, che montava in realtà un motore 124: insomma, per una stupidaggine la 124 Spider non ha vinto il Campionato del Mondo. Resta il fatto che la macchina si dimostrò estremamente efficiente in tutte le condizioni. Quando la Lancia venne assorbita dalla Fiat, durante un decisivo Rally di Sanremo, Fiorio chiese di rallentare la nostra 124 che non aveva possibilità di classifica per far vincere il Campionato alla Stratos di Waldegaard”.
“Ho fatto anch’io una corsa con la 124 Spider: il Giro Automobilistico d’Italia, con Pino Pica. La nostra macchina montava un motore Abarth sport di 2.000 cc, che si guastò a Casale costringendoci al ritiro. Nell’ultimo periodo, la 124 era incredibilmente competitiva specialmente sull’asfalto e i piloti riuscivano ormai ad utilizzarla al 100%. Poi si dovette passare ad utilizzare nelle corse la 131 per sostenere le vendite all’estero della berlina di serie: la macchina ha vinto ben 3 Campionati del Mondo Rally”.
“Se mi è consentita una digressione volevo ricordare che io sono stato l’unico pilota che ha fatto il Rally di Montecarlo con una Ferrari ufficiale grazie all’ing. Gobbato. Era il 1966 e la macchina era una 275 GTB di colore giallo. Il mio copilota era Roberto Lippi, a quell’epoca capo collaudatore Ferrari, un pilota velocista che avevo incontrato molte volte nelle corse di F3. Durante il percorso di avvicinamento, ricordo che si ruppe l’alternatore, proprio all’avvicinarsi della notte. Lippi si chiedeva cosa fare se non ritirarsi. “Ma tu sei matto!” dissi io. Ho comperato sei batterie e ogni tanto ne cambiavo una. Eravamo comunque in difficoltà e allora pensai di chiedere a Schlesser, un grande amico che partiva dietro di me con la sua Porsche, se poteva farci strada durante la notte. Il giorno dopo i giornali riportavano: “Incredibile: una Porsche con tutti i fari accesi con attaccata dietro una Ferrari gialla!. Un ultimo ricordo: durante una sessione di prove comparative di pneumatici sulla pista Pirelli a Vizzola, le gomme Kleber dechapparono improvvisamente e la mia 124 si rovesciò sulla pista incastrandosi in modo che le portiere non si potevano più aprire. Io ero rimasto incolume, ma rimasi chiuso nella macchina per un’ora ad attendere l’arrivo della gru che finalmente mi liberò”.
“La Fiat non ha più fatto rally con il suo marchio per ragioni di politica delle marche all’interno del Gruppo. Ha fatto continuare l’Alfa Romeo quando ha ritenuto che questa marca ne avesse bisogno e poi ha mandato avanti la Lancia con la Delta che, ricordiamolo, ha vinto 6 Campionati del Mondo consecutivi, un record ineguagliabile. Quindi, non è vero che la Fiat abbia abbandonato i rally. Adesso, sta tornando direttamente in campo: come Commissario Tecnico Nazionale della CSAI mi sto interessando del rilancio, in questo campo, della Panda. La Nuova Punto ha già vinto 2 o 3 gare importanti, addirittura in Turchia dove le strade sono terribili. La Fiat sta veramente riportandosi ai tempi della 131”.