Regine a trazione posteriore: le auto da rally campionesse
Auto leggendarie, se non da film, rimaste nel cuore degli appassionati che hanno vissuto quell’epoca, ma anche di chi, grazie ai racconti di nonni e papà, è rimasto folgorato dalle imprese di quegli anni. Le abbiamo raccolte in questo articolo: Lancia Stratos, Porsche 911S, Alpine-Renault A110, Fiat 131 Abarth, Ford Escort RS, Talbot Sunbeam Lotus, Opel Ascona 400, Lancia Rally 037.
Quando si parla di Campionato del Mondo Rally, è facile pensare alla trazione integrale. Del resto, tutte le vetture presenti nell’albo d’oro dal 1984 a oggi adottano questo schema, ammesso dai regolamenti a partire dal 1979. Fino al 1983, e con la sola eccezione della rivoluzionaria Audi quattro, tutte le vetture “iridate” capaci di trionfare nel Mondiale Rally erano a due ruote motrici.
Parliamo di auto leggendarie, se non da film, rimaste nel cuore degli appassionati che hanno vissuto quell’epoca, ma anche di chi, grazie ai racconti di nonni e papà, è rimasto folgorato dalle imprese di quegli anni. Le abbiamo raccolte in questo lungo articolo, dove troverete tutte le “posteriori” che hanno vinto il Campionato del Mondo Rally: Lancia Stratos, Porsche 911S, Alpine-Renault A110, Fiat 131 Abarth, Ford Escort RS, Talbot Sunbeam Lotus, Opel Ascona 400, Lancia Rally 037.

Lancia Stratos
Una storia unica e singolare quella della Lancia Stratos, un’auto nata per le corse e destinata alla strada in pochi esemplari e per forza di cose. Fu presentata come progetto di autovettura sportiva a motore centrale (era quello di una Lancia Fulvia recuperato in una demolizione), di concezione avveniristica per quei tempi. Il design, per quanto non ancora definitivo, dovuto a Marcello Gandini (lo stesso che disegnò auto come la Fiat X1/9 e la Lamborghini Countach), suscitò subito grande interesse da parte dei vertici della squadra corse della Lancia, guidata da Cesare Fiorio, in cerca della sostituta della Lancia Fulvia HF nei rally.
Per questo motivo nacque la Stratos HF (High Fidelity), la prima automobile di serie specificamente progettata per i rally. Nella versione definitiva, sia il motore che la trasmissione erano quelli della Ferrari Dino 246, i quali, abbinati a un telaio monoscocca centrale in acciaio, resero la Stratos un’automobile sportiva molto competitiva. La lenta attività di produzione nello stabilimento Bertone di Grugliasco costrinse la Stratos a gareggiare come Gruppo 5 finché non venne raggiunta la quantità di esemplari prodotti richiesta per l’omologazione in Gruppo 4.
In merito, nella dichiarazione a firma di Fiorio, si afferma che al 23 luglio del 1974 ne siano stati costruiti oltre cinquecento esemplari (cinquecentoquindici per la precisione). La veridicità di tale affermazione è stata messa in dubbio da molti. D’altra parte, diciassete mesi dopo la soglia minima venne abbassata a quattrocento esemplari, rendendo così inutile ogni polemica (in ogni caso, dagli archivi di Bertone risultano prodotti cinquecentodue esemplari).
Conclusa comunque la prima produzione in serie, venne schierata in gara nei rally dell’allora Gruppo 4 e fu per anni la vettura più competitiva: nelle stagioni 1974, 1975 e 1976 diventò campione del mondo rally. Ebbe inoltre molti altri successi di prestigio a livello europeo e nei singoli campionati nazionali tra i quali, ovviamente, quello italiano.
L’esordio in gara avvenne nel 1972 al Tour de Corse, dove fu affidata al pilota Sandro Munari, il quale dovette ritirarsi per la rottura delle sospensioni posteriori. Ottenne il suo primo successo l’8 settembre del 1973 al Rally Firestone di Spagna con Sandro Munari e Mario Mannucci.

Porsche 911 S
La storia della Porsche 911 nei rally parte dal Rally di Monte-Carlo 1965. Ma è nel mese di luglio del 1966 che irrompe, la 911 S: dieci cavalli in più. Una miglioria raggiunta con l’adozione di nuovi cilindri, nuovi pistoni ed alberi a camme maggiorati. La bandiera a scacchi dà ragione alla Porsche.
Vic Elford, pilota britannico che passa con la massima disinvoltura dalla pista ai rally, nel 1967 è terzo a MonteCarlo, vince il Deutschland e il Tulip. Sobieslaw Zasada è primo in Polonia e in Austria. Verso la fine dell’anno Elford sale sulla 911 R, una “bomba” di 210 cavalli per 830 chili di peso: è terzo assoluto al Tour de Corse. Sulla 911 R, per contenere il peso, viene fatto un largo uso di parti di plastica. Le 911 da corsa iniziano ad essere una realtà.
In casa Porsche c’è voglia di fare sul serio. Nel 1968 il Costruttore tedesco schiera la 911 T, che va a sostituire la 912 e il suo quattro cilindri. Oltre ad Elford, i tedeschi “arruolano” Pauli Toivonen e Bjorn Waldegaard, che era ancora uno sconosciuto giovane svedese. Il britannico vince a Montecarlo davanti a Toivonen.
Il finlandese s’impone al Sanremo e al Deutschland, che sommati ad altri successi gli consegnano il titolo di campione d’Europa. Il 1969 è l’anno della Porsche. A Montecarlo pochi credono in Waldegaard, anche se il team Porsche capitanato da Rico Steinemann nutre grande fiducia nel biondino. Prova dopo prova, lo svedese mette dietro tutti e porta a casa la sua prima vittoria nel Campionato del Mondo Rally. Poi s’impone anche nella gara di casa, lo Svezia.
Toivonen è primo all’Acropoli, Zasada fa suo il Polonia. L’anno si chiude con un doppio successo casalingo di Gerard Larrousse: Tour de Corse e Tour de France. Tra l’altro, quell’anno Porsche fa debuttare una propria vettura al Safari Rally. Al volente c’è Zasada, che conclude sesto. Porsche non si ferma.

Alpine-Renault A110
Nata nel 1962, la Alpine-Renault A110 dimostra fin da subito la propria vocazione sportiva impegnandosi in gare in pista e su strada. Grazie al progressivo aumento della cilindrata dei motori Renault che la equipaggiano, passati dai 956 centimetri cubi della presentazione ai 1800 cc delle versioni elaborate negli anni Settanta, la berlinetta francese conquista innumerevoli vittorie in ogni parte del mondo.
La formidabile squadra ufficiale trionfa nella prima edizione del Campionato del Mondo Rally rendendo familiare la sinuosa sagoma blu della Alpine-Renault A110 a tutti gli appassionati. Anche in Italia, a partire dal 1970, le piccole granturismo francesi cominciano ad imporsi su tutti i terreni di gara, dalle veloci e nervose corse in salita alle lunghe e non meno veloci gare sui circuiti stradali, dalle fangose prove speciali dei rally ai nastri d’asfalto degli autodromi italiani.
Celebri diventano le Alpine-Renault A110 schierate dalla Giada Auto, emanazione sportiva della Renault Italia, o elaborate da Audisio & Benvenuto, Varese, Terrosi e molti altri preparatori che si cimentano nell’elaborazione dell’Alpine Renault A110.
I leggendari grandi circuiti stradali come il Mugello e la Targa Florio, le mitiche cronoscalate Trento-Bondone e Bolzano-Mendola, i veloci autodromi di Monza e Imola, le strade polverose del Rally di Sanremo e di quello di San Martino di Castrozza, le gare di velocità su ghiaccio e gli slalom in salita. Non c’è un teatro agonistico italiano che le Alpine-Renault A110 non abbiano calcato con successo nel corso della loro ventennale carriera che dall’esordio nel 1970 si protrae fino al 1990.
Rispetto alla A108, la A110 condivide le linee generali della carrozzeria, realizzata in vetroresina. Se ne differenzia esternamente per il disegno del padiglione e della coda, resi più sportivi e più estremi nel design, ma anche per il frontale a doppi fari carenati. Meccanicamente, invece, la Alpine-Renault A110 è completamente nuova: nuovo fu il telaio utilizzato per la sua realizzazione, sebbene sia anch’esso a trave centrale come nel caso dell’antenata, e nuova è la meccanica adottata, proveniente dall’allora neonata Renault 8 ed inizialmente consistente in un motore a 4 cilindri da 956 cc, in grado di erogare 50 cavalli di potenza massima.
Con quest’unità motrice, la A110 sfiora i 160 chilometri orari. Nel corso della sua storia, la A110 adotta svariate motorizzazioni, tutte provenienti dalla produzione Renault di serie, fino ad arrivare ad un propulsore da 1.8 litri, non montato sulle vetture di serie.
Dopo i primi successi, più che altro circoscritti quasi all’ambito nazionale, la Alpine-Renault A110 subisce nel 1964 il primo trapianto di motore, passando all’unità da 1108 cc proveniente dalla R8 Major ed in grado di erogare 60 cavalli di potenza, divenuti in seguito 86.
Nel 1967, la Alpine-Renault A110 beneficia del motore da 1255 centimetri cubi, che un paio di anni dopo verrà montato anche sulla R12. Questo motore eroga 95 cavalli. Sono esistiti altri due motori di cilindrata simile, 1296 e 1289 cc, in grado di erogare 72 e 110 cavalli. Grazie a questi propulsori la A110 comincia ad imporsi all’attenzione di tutti, affermandosi di continuo in numerosi rally.
Il passo definitivo avviene nel 1969, quando la Alpine-Renault A110 adotta il motore da 1565 cc già montato sulla R16 ed elaborato in modo da raggiungere potenze comprese tra gli 83 ed i 148 cavalli. In questo modo, la A110 raggiunge velocità massime nell’ordine dei 210–215 chilometri orari.
Con questo propulsore la vettura ottiene successi di portata storica, primo fra tutti il titolo dell’allora neonato Mondiale Marche 1973. In seguito, la Alpine-Renault A110 riceve due nuovi propulsori, da 1605 e da 1647 cc, in grado di sviluppare rispettivamente 127 e 95 cavalli.

Fiat 131 Abarth Rally
Il cliente ha sempre ragione, anche quando si parla di corse. E l’ingresso ufficiale della Fiat nel mondo dei rally con la 131 Abarth lo conferma. A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, numerosi clienti privati richiedono il supporto della Casa torinese per competere nei rally con la 124 Sport Spider. Visto il grande interesse del pubblico verso queste gare, che in quegli anni erano quelle più seguite in campo automobilistico, la dirigenza Fiat decide di investire progressivamente nell’attività, iniziando ad iscrivere ufficiosamente alcune 124 in diverse competizioni valide per il Campionato Italiano e per quello mondiale.
Con l’acquisizione dell’Abarth nel 1971 e la sua trasformazione nel reparto corse ufficiale dell’azienda si prepara il terreno alla discesa in campo della Squadra Corse Fiat, che debutta nella stagione sportiva 1972 con la 124 Abarth Rally Gruppo 4. Gli ottimi risultati ottenuti dalla nuova vettura – che conquista due campionati europei, nel 1972 e 1975 – convincono i manager Fiat a potenziare l’investimento nelle competizioni.
Per sostituire la 124, ormai datata, viene approntata una vettura impostata sulla nuova berlina Fiat 131: l’idea è sfruttare il ritorno di immagine dato dai successi sportivi per aumentare le vendite del modello. Una tranquilla berlina tre volumi da famiglia viene quindi trasformata in una vincente vettura da competizione.
Il design e la realizzazione della carrozzeria vengono affidati al Centro Stile Bertone dove, attraverso l’uso di vetroresina e alluminio, nasce una vettura alleggerita con l’aspetto ispirato alla Fiat 131 Mirafiori nella versione a due porte. Per diminuire il peso della scocca, la 131 Abarth Rally ha cofani e parafanghi in resina e portiere in alluminio.
Vengono poi aggiunti passaruota maggiorati e ampi spoiler per garantire la necessaria deportanza. Le grandi prese d’aria dinamiche sul lato sinistro del cofano motore e sulle fiancate consentono il raffreddamento degli organi meccanici. Il motore che spinge la vettura – predisposto dai tecnici dell’Abarth – è un inedito quattro cilindri in linea di 1.995 cc con testata in lega, doppio albero a camme, 16 valvole e iniezione meccanica Kugelfischer nella versione “Corsa”.
La versione stradale, con carburatore doppio corpo Weber, eroga 140 cavalli, ma quelle da corsa a iniezione raggiungono i 225 CV, successivamente portati a 245. Cambio a cinque marce a innesti frontali anche per le 131 Abarth stradali e differenziale autobloccante ZF (solo sulle Corsa) trasmettono la potenza alle gomme Pirelli P7 ribassate.
Costruita tra il 1976 e il 1978 in 400 esemplari, numero minimo per garantire l’omologazione della versione Corsa nel Gruppo 4 secondo i regolamenti FIA, la Fiat 131 Abarth Rally Gruppo 4 si impone rapidamente nelle competizioni di tutto il mondo. Quattro anni di dominio nei rally in tutto il mondo, dalla Finlandia all’Argentina passando per MonteCarlo.

Ford Escort RS
Nella seconda metà degli anni ’60, le sezioni Ford in Inghilterra e Germania unirono le forze per creare la vettura che doveva succedere all’Anglia. Il nuovo modello entrò in produzione nel novembre 1967 negli stabilimenti di Halewood e Colonia. L’anno successivo, il 17 gennaio, fu lanciata ufficialmente una delle auto più apprezzate di sempre: la Ford Escort. L’adattamento alle manifestazioni è stato quasi istantaneo. La Escort Twin Cam (160 CV) sostituì la fortunata Cortina e nel suo anno di debutto vinse il Rally dell’Acropoli, lasciando dietro di sé due Porsche 911.
Più a nord in Europa, il giovane Hannu Mikkola ha vinto il Rally Thousand Lakes con la prima versione della Escort e ha inaugurato la mitica collaborazione tra Ford e piloti finlandesi. Forse uno dei primi grandi successi della Escort è stato il suo trionfo al London-Mexico City Rally nel 1970. Alla fine di questa incredibile corsa di 25.758 km, c’erano quattro Escort nei primi sei posti. Il famoso motore Cosworth 1.6 16 valvole alimentava la RS 1600, la prima a utilizzare l’acronimo Rallye Sport.
Nel 1974, Hannu Mikkola e Timo Mäkkinen ottennero una doppietta con le Escort al Thousand Lakes Rally. Ci sono filmati che mostrano i due finlandesi che eseguono una magistrale danza sulla neve con le Escort a trazione posteriore. Il blocco Cosworth da 2,0 litri ha dato anima alla Escort RS 2000, che utilizzava i doppi fari che diventarono un segno distintivo. Nel 1975 Timo Mäkkinen vinse il RAC RAC nonostante la forte concorrenza che la Escort dovette affrontare da auto come Lancia Stratos, Fiat 131, Renault Alpine, Opel Ascona e Peugeot 504.
Nel 1976, Ari Vatanen divenne campione di rally britannico con la RS 1800, un modello che Ford aveva creato esclusivamente per le competizioni. Nel 1979, la Escort RS 1800 (guidata da Mikkola e Waldegard) regala a Ford il primo titolo Mondiale Costruttori, impresa ripetuta solo nel 2006 e nel 2007 con la Focus WRC. Negli anni ’80, l’era del Gruppo B vide Audi e Peugeot dominare la scena dei rally, costringendo la Escort a tornare in pieno vigore con la nuova versione RS Cosworth. Il modello veniva realizzato dalla compagnia di Mike Costin e Keith Duckworth.
Con 2,0 litri, 16 valvole e turbocompressore, il motore della Escort RS Cosworth erogava 227 CV a 6.500 giri/min Il telaio era basato sulla Ford Sierra e la carrozzeria era stata costruita dai tedeschi di Karmann. Il debutto nei rally risale al 1993 e, nonostante le vittorie di François Delecour, Miki Biasion, Tommi Mäkkinen e Carlos Sainz, la Escort RS Cosworth non ha mai raggiunto il titolo Mondiale.

Talbot Sunbeam Lotus
L’origine della Talbot Sunbeam va ricercata nella crisi che colpì Chrysler negli anni ’70 e che portò alla vendita del Marchio al Gruppo PSA nel gennaio 1979, rinominando in Talbot tutti i modelli prodotti da Chrysler a metà dello stesso anno. Prima del cambio di nome, il direttore di Chrysler Motorsport, Des O’Dell, aveva commissionato alla Lotus lo sviluppo di una versione da competizione per i rally.
O’Dell e Lotus avevano lavorato insieme per realizzare gli esemplari necessari per l’omologazione. Un progetto ambizioso che era sopravvissuto alla vendita di Chrysler a Peugeot. Tony Pond fu ingaggiato dal team ufficiale e fu incaricato di evolvere la Talbot sin dai suoi primi chilometri. In pochi anni divenne la macchina da battere davanti alla Ford Escort e alla Fiat 131 Abarth. Un piccolo raggio di sole in una nicchia all’epoca molto più grande. I risultati non tardarono ad arrivare: nel 1980 arrivano in squadra Guy Frequelin e la giovane promessa Henri Toivonen.
Il primo podio per Talbot arrivò per mano di Frequelin-Todt in Portogallo nello stesso anno, al terzo posto dietro il 131 Abarth di Walter Rohrl e Markku Alen. Il grande successo non ci mise molto a travolgere quella piccola e ambiziosa squadra, la prima vittoria assoluta arrivò nella penultima gara del Campionato del Mondo Rally: Henri Toivonen e Paul White avrebbero realizzato nel Rally di Gran Bretagna il primo trionfo per la Talbot Sunbeam Lotus in una gara del Campionato del Mondo.
Il 1981 è un anno ricco di successi. Fin dall’inizio della stagione la squadra ha dimostrato di poter essere la spina nel fianco dei suoi avversari, dimostrandosi altamente competitiva dopo i primi rally, con un secondo posto a Monte Carlo con Frequelin, un altro secondo posto in Portogallo con Toivonen, ancora un secondo posto al Tour de Corse e la vittoria in Argentina. La squadra era leader nel Campionato Costruttori, posizione persa al Rally della Costa d’Avorio contro Datsun. Tuttavia, nell’ultima gara della stagione, il Lombard RAC Rally, Stig Blomqvist centrò un terzo posto e con esso, i punti necessari a regalare a Talbot il titolo di campione del mondo Costruttori.
Frequelin dopo aver avuto un incidente in quest’ultimo rally non ha potuto marcare punti per il titolo di campione del mondo rally Piloti, che fu vinto da Ari Vatanen, il suo più diretto rivale per tutta la stagione.
Nel 1982 e dopo due intensi anni di rally a tutti i livelli, il team si ritira ufficialmente dal World Rally Championship passando le vetture a team privati, soprattutto per competere in campionati nazionali, dove l’auto era ancora molto competitiva.

Opel Ascona 400
L’epopea Opel nei rally italiani culminò nel 1981 con la vittoria – prima e per molti anni unica di una Casa estera in Italia – della Ascona 400 preparata da Conrero per l’equipaggio “Tony”-“Rudy” nel Campionato Italiano Rally. Con la stessa vettura, dotata di un 4 cilindri di 2,4 litri da 240 CV (180 kW) sviluppato dalla Cosworth abbinando una testata a 16 valvole con il monoblocco della Opel Rekord Diesel, l’equipaggio italiano vinse l’anno seguente il campionato europeo della specialità.
La naturale evoluzione dell’Ascona 400 fu l’Opel Manta 400 omologata nella nuova definizione di Gruppo B. A questa vettura, preparata da Virgilio Conrero, è legata l’ultima vittoria assoluta di Opel e di “Penna Bianca” nel Campionato italiano al Rally della Lana 1985 con Cerrato-Cerri.
Nel 1986 debuttò la Kadett E GSi 1.8 presto affiancata da una versione con motore bialbero a 16 valvole da 220 CV (162 kW), preparata in Gruppo A per i due nuovi piloti della squadra dei concessionari Stefano Milanesi e Fabrizio Fabbri, mentre una Manta GTE privata preparata da Silvio Terrosi fece suo il titolo Promotion riservato ai piloti non prioritari con Marco Tulini.
A questo punto l’interesse dell’importatore italiano per i rally si indirizzò in altre direzioni come la creazione della Scuola Rally affidata a Rudy Dal Pozzo e all’organizzazione dei trofei monomarca, come quello riservato alla Opel Corsa che all’inizio di quegli anni fece la sua apparizione sul mercato.

Lancia Rally 037
L’ing. Sergio Limone fu il responsabile del progetto SE037 e fu Cesare Fiorio, il direttore sportivo Fiat, ad annunciare nel 1981 la nascita di un nuovo modello per il rally a causa dei cambiamenti nel regolamento. Il progetto fu sostenuto da una collaborazione tra Lancia, Pininfarina, Dallara e Abarth, riprendendo l’evoluzione della Fiat 030 realizzata dalla Abarth nel 1974 e fu presentato al 59º Salone dell’automobile di Torino nel 1982.
In sostanza si trattava di una vettura progettata in Abarth, sulla base del telaio della Lancia Beta Montecarlo Turbo da pista prodotto da Dallara e carrozzato in Pininfarina. All’inizio del progetto non era ancora stato deciso quale marchio sarebbe stato assegnato alla vettura. La versione stradale non riscosse particolare successo e neppure fu cercato, visto che per l’omologazione nel gruppo B erano necessari solamente 200 esemplari del modello.
Montava un quattro cilindri in linea da 1995 cm³ di cilindrata, 16 valvole e sovralimentato da un compressore volumetrico volumex che sviluppava, di serie, 205 CV capaci di spingere la 037 a oltre 220 km/h e di farle raggiungere i 100 km/h da ferma in meno di 7 secondi. Rispetto alla “Montecarlo” era anche montato longitudinalmente anziché trasversalmente (variazione fatta con cilindrata e sovralimentazione diversa anche sulla coeva Lancia LC1 da endurance)
Qui ti raccontiamo le vittorie più belle della Lancia Rally 037 (clicca qui). In questo altro articolo, invece, parliamo delle dieci auto da rally più leggendarie di sempre (clicca qui).