Rally e piloti da record: gli eroi personali

Sebastien Loeb al Rally d'Australia 2018

Hanno cambiato la storia del rally scrivendone pagine memorabili. Stili e storie diverse, ma con destini simili e record invidiabili e per questo è difficile stabilire, sulla carta, chi sia stato il migliore di sempre. Ci sono piloti che vengono ricordati come leggende…

Ari Vatanen, Colin McRae, Markku Alén sono tutti nella lista dei miei eroi personali, ma se devo sceglierne uno dico Sébastien Loeb. Ho iniziato la mia carriera nella principale rivista italiana di rally nello stesso periodo in cui Loeb faceva il suo ingresso nel Mondiale Rally.

Mi sono messo comodo e, un po’ dalla redazione e un po’ andando a guardare qualche gara, come Rally d’Italia, Monte-Carlo, Messico, Giappone, Nuova Zelanda, Australia… ho iniziato ad ammirare in silenzio e a bocca aperta la sua crescita esponenziale e continua.

Una crescita che lo ha portato a diventare il dominatore assoluto del World Rally Championship, dalla nascita all’inizio del terzo Millennio. Non l’ho mai adorato per la sua simpatia, ma per le sue caratteristiche sportive e per le sue capacità di guida. La vittoria del settimo Mondiale Rally a casa sua, in Alsazia, ha sigillato la mia devozione per lui.

Dopo quasi un decennio in cui veniva descritto come un “Cannibale”, come “Macchina per vincere”, è arrivato alla fine dell’ultima prova con tutti i suoi amici e la famiglia che lo aspettavano. E sai una cosa? È scoppiato in lacrime. Piangeva, come un bambino. È stato incredibile vedere quel lato così intimo e personale del più grande campione del mondo rally, tra i più riservati della storia.

Ricordo che tornato in redazione, al lunedì mattina, non ne parlai con il mio editore, ritenevo che non avrebbe gradito il mio continuo impegno nel dipingere gli uomini gli uomini. Era la prima volta in due decenni di carriera giornalistica che avevo in mano una notizia e non la davo. Ma in fondo, a quella gara c’ero andato in incognita e per i fatti miei.

Tornando a Loeb, e sempre secondo il mio opinabilissimo parere, sono molte le cose che lo rendono speciale. Più che l’incredibile abilità di guida, però, c’è la capacità di adattarsi a ogni situazione, di leggere la strada e agire di conseguenza ad una velocità superiore a quella di una WRC. Loeb, come Valentino Rossi nel motociclismo, univa un’incredibile determinazione al successo con il motto “corro perché mi diverto”, che gli permette di affrontare nel modo giusto anche i momenti negativi.

Lo stesso spirito che ha continuato a contraddistinguerlo anche dopo il ritiro dai rally. Un combattente che fa sembrare facile tutto quello che fa. Ma tutto quello che fa, di facile non ha nulla. A proposito di combattente… Tra i miei eroi posso sceglierne un altro? Ti dico Miki Biasion. È l’ultimo pilota italiano ad aver conquistato un titolo nel Mondiale Rally. Ed è uno dei pochi che ha trascorso quasi tutta la carriera nel WRC, alla guida di vetture da sogno e per di più Lancia. Miki e i rally erano un’equazione perfetta.

Mi è sempre piaciuto come pilota. Ma ho iniziato ad adorarlo quando ho scoperto che nel 1978, al volante della Renault 5 della madre, e ovviamente a sua insaputa, aveva partecipato al suo primo rally della sua vita, una corsa clandestina sull’altopiano di Asiago e per di più in notturna! S’innamora dei rally, impara a correre, diventa abile e veloce, emerge e regala all’Italia due meravigliosi titoli iridati guidando la vettura italiana più iconica della storia del WRC: la Lancia Delta.

Prima, però, passa attraverso la Opel Kadett GT/E Gruppo 1, scegliendo come navigatore il suo compagno di liceo, Tiziano Siviero. Poi Ascona Gruppo 2, Ascona 400 Gruppo 4, Lancia Rally 037, Lancia Delta S4 e Lancia Delta HF Integrale nelle sue varie evoluzioni.

Anche Miki è uno che segue la filosofia “corro perché gioco”. Dopo il ritiro dai rally, che avviene sostanzialmente nel 1997, Biasion inizia a correre nei rally raid con i camion e alla guida dell’Iveco Eurocargo porta a casa due Coppe del Mondo consecutive nel 1998, Tunisia, Faraoni e Abu Dhabi Desert Challenge, e nel 1999, Tunisia, Faraoni, Abu Dhabi e Marocco.

Come se nulla fosse, nel 2001, si riaffaccia nei rally perché chiamato dalla Fiat a sviluppare la Punto Super 1600, e l’anno dopo torna nei raid con la Mitsubishi Pajero, con cui l’anno seguente termina la Dakar in seconda posizione, prima di essere penalizzato a fine gara. Scelgo anche un terzo eroe, consentimelo. Colin McRae? Con lui feci un giro sulla Ford Focus WRC ufficiale nel 2001, presso lo stabilimento Martini di Pessione, in provincia di Torino. Ma non è con questo ricordo che intendo ricordarlo.

McRae era il pilota più veloce del mondo e voleva dimostrarlo in ogni curva di ogni speciale di ogni rally che disputava. Nel 1995, quindi due anni prima che iniziassi a fare il collaboratore nei quotidiani, ero già intrippato di rally. Ecco, quell’anno, al Rac ci fu un indimenticabile duello testa-a-testa tra Colin McRae e Carlos Sainz per il titolo iridato. McRae e Sainz erano compagni in Subaru e, nel rally precedente in Spagna, un ordine di scuderia aveva deciso che a vincere doveva essere il madrileno Sainz, con McRae secondo.

Capisci perché l’attenzione per quella gara era ai massimi livelli? In quella gara, subito dopo aver preso il via, in Scozia, McRae perde due minuti. Reagisce. Recupera. Supera Sainz in Galles e arriva a Chester primo assoluto e primo campione del mondo britannico.

Il rifiuto di McRae di accontentarsi del secondo posto, quando le possibilità di vittoria erano davvero poche, è quello che lo rende speciale. Dunque, velocità, dignità e tenacia. Sai chi mi viene in mente? Uno dei miei due idoli. In mezzo a questi tre eroi ce ne sono altri sei: Sébastien Ogier, Juha Kankkunen, Tommi Makinen, Richard Burns e Ari Vatanen.