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Peugeot 206 WRC: riflessioni di Michèle Nandan

Martin Holmes, decano dei giornalisti purosangue

Dopo aver rispettato le aspettative, grazie al brillante esordio al Tour de Corse, gli uomini di Sochaux stanno lavorando senza tregua per portare la Peugeot 206 WRC all’apice della forma per essere così puntuali con il Mondiale del 2000. Per sapere dove si stanno dirigendo i principali sforzi della squadra transalpina ci siamo rivolti direttamente a uno dei padri della vettura.

di Martin Holmes

La Peugeot 206 WRC ha messo in mostra il suo alto grado di competitività già sulle strette strade della Corsica in occasione del suo esordio nelle competizioni. Poi ha confermato il suo potenziale anche sui fondi sterrati, avanzando a pieno titolo la sua candidatura allo status di pretendente al primo titolo iridato del nuovo millennio. Il ritorno ai rally della Peugeot rappresentava per gli uomini della Casa del Leone una doppia sfida: la prima contro una concorrenza di marchio tipicamente anglosassone, che in questi ultimi anni si è guadagnata lo scettro del primato in una specialità per tradizione tipicamente latina.

La seconda, contro un passato che si chiamava 205 T16: due anni e mezzo di successi a raffica che permisero a Todt ed alla sua equipe di mandare tutti al tappeto, Lancia compresa. Epoche differenti. E soprattutto due realtà incomparabili. In questi tre lustri il modo di affrontare una gara è cambiato radicalmente. Oggi c’è un carico di tensione supplementare che, anche se in Peugeot rifiutano, pesa un po’ su tutti. Un peso che però, per chi ama le sfide come Michel Nandan, è uno stimolo in più. Il tecnico francese che nei primi anni Ottanta ha prestato servizio a Colonia, per poi passare alla Zakspeed, da un anno e mezzo è oramai impegnato “full-time” sulla 206, ed è sicuramente la persona che meglio conosce il polso della situazione.

“Purtroppo non siamo ancora riusciti a smaltire tutto il ritardo accumulato sulla tabella di marcia prevista all’inizio dell’anno, ma nel complesso abbiamo già raggiunto un buon grado di sviluppo. Dal punto di vista delle performance, sappiamo che più o meno siamo a livello degli altri. Il nostro “tallone d’Achille” è l’affidabilità; qui c’è ancora parecchio lavoro da fare. Quando si affronta una gara non siamo affatto tranquilli. C’è sempre qualche dettaglio che potrebbe cedere ma anche questo fa parte dello sviluppo. Soprattutto quando si parte da zero”.

Le prestazioni in Corsica sono state una sorpresa oppure erano nell’aria?

“Diciamo che hanno confermato il lavoro svolto. Sapevamo di essere lì, ma non pensavamo che i tempi potessero venire così in fretta”.

Qualche soddisfazione l’avete avuta anche in Grecia, ma vista la durezza del percorso, non è che certi vostri scratch siano stati favoriti da una condotta, in certi frangenti, più prudente dei primi della classe?

“La gara è stata abbastanza equilibrata e non mi pare che l’uno o l’altro abbiano mai mollato. Con il lotto attuale di partecipanti e con gare sempre più “raccolte”, è impossibile pensare di correre al risparmio, come accadeva invece una decina di anni fa. Sulla terra abbiamo lavorato molto ed anche lì possiamo dire che siamo al livello della concorrenza. In termini di affidabilità ci è mancato qualcosa ma tutto sommato non siamo messi così male…”.

A volte la vettura ha però evidenziato cedimenti importanti. A suo avviso c’è stata superficialità oppure ci sono stati errori nella preparazione della gara?

“A livello di componenti, siamo abbastanza tranquilli. Servono alcune piccole modifiche ma non è nulla di importante. I problemi principali sono venuti dagli ammortizzatori, ed è li che dobbiamo concentrare gli sforzi. Il terreno si è rivelato più duro ed accidentato di quanto ci attendevamo, e questo ha messo alla frusta la vettura. Una gara del genere necessitava di una preparazione migliore, ma non c’è stato veramente tutto il tempo di fare quello che andava fatto per essere pronti come si doveva. Per preparare la Finlandia c’è stato più tempo ed abbiamo fatto in modo di capitalizzarlo, riuscendo ad attuare una vera preparazione specifica, che ha obbligato ad un adattamento della sospensione, con alcune modifiche a livello degli ammortizzatori”.

Dal debutto del Tour de Corse al Sanremo, tra una gara e l’altra sono trascorsi dai trenta giorni ad oltre due mesi, si tratta di una strategia studiata a tavolino?

“Innanzitutto c’era l’impegno obbligatorio della prima gara in Corsica, decisione presa a livello marketing. Di conseguenza, abbiamo cercato di fare una scelta in funzione dello sviluppo, tenendo in considerazione i tempi che avevamo previsto tra una gara e l’altra per avere il tempo di lavorare, e per poter operare eventuali modifiche”.

I problemi al cambio che tanto hanno tormentato la prima metà dell’anno hanno trovato risposta?

“Non del tutto, un po’ alla volta i nodi stanno venendo al pettine ma non sono ancora tutti risolti. Per raggiungere un’affidabilità del 100% bisogna ancora modificare alcuni pezzi interni, sino ad oggi con la X-Trac abbiamo rivisto molti particolari, soprattutto prima dell’Acropoli. Dopo la prova ellenica abbiamo evidenziato un piano di lavori ben dettagliato, che stiamo cercando di rispettare soprattutto nei tempi. Purtroppo non è tutto facile come può sembrare: quando modifichi un pezzo (ad esempio quando rinforzi la base di un cuscinetto) non sempre hai risolto il tuo problema; nella maggior parte dei casi hai solamente eliminato l’elemento che cedeva per primo, e così magari, dopo qualche ora di sollecitazioni in più, si verifica un cedimento da un’altra parte. Questo però fa parte del normale sviluppo di un cambio, e la nostra unica pecca è di avere percorso pochi chilometri prima del Tour de Corse”.

Buona parte del ritardo accumulato è stata causata dall’incidente di Panizzi in febbraio, dove è andata distrutta la scocca da asfalto. Ma con una macchina interamente nuova da sviluppare una sola vettura laboratorio, in un momento così cruciale, non rappresentava un rischio troppo elevato?

“A quell’epoca avevamo solo due prototipi: uno da asfalto ed uno da terra, che eravamo riusciti a montare alla fine del ‘98. Il terzo telaio, purtroppo, era ancora in costruzione, mentre le vetture per la Corsica erano appena “imbastite”. Quando una vettura è nuova, costruire troppi prototipi rappresenta un rischio perché se c’è un vizio di fondo nel telaio ti ritrovi in casa solo delle scocche da buttare”.

Quando la Peugeot ha annunciato il suo ritorno nel Campionato del Mondo, più o meno velatamente, in molti hanno detto “adesso non ci sarà più storia, il loro obiettivo è vincere, e per questo dispongono di un budget per operare come una volta”. L’impressione ricavata dopo le prime gare va però nella direzione opposta. Ma chi ha ragione?

“Il budget è stato stabilito per coprire le esigenze essenziali. Definirlo limitato forse è troppo riduttivo ma sicuramente non si tratta di uno stanziamento “stratosferico”. Secondo me si tratta di un budget simile a quello degli altri team. Esso segue l’orientamento generale e permette di impostare il lavoro a grandi linee come le altre squadre”.

All’epoca delle sfide tra Lancia e Peugeot c’era una cellula di sviluppo operativa tutto l’anno, ogni squadra disponeva di quattro telai differenti (asfalto, terra pesante, terra leggera, e Safari), secondo lei è possibile ritornare a tutto questo?

“Non credo, oggi costruttori e marche non dispongono di budget illimitati come allora, ed in generale ci sono meno soldi, almeno per quanto riguarda i rally. Inoltre, considerato che ci sono delle squadre che se la cavano benissimo con questi budget non c’è motivo per farlo con più soldi, la corsa al taglio dei budget è iniziata quattro – cinque anni fa, ed adesso non credo ci sia più una squadra in grado di potere rientrare con i budget di una volta. A queste considerazioni filosofiche finanziare bisogna poi aggiungere un paio di elementi tecnici: le vetture di adesso sono più sofisticate ed il loro costo è maggiore, di conseguenza non ti puoi più permettere di avere un’auto per diverse tipologie di gara. L’enorme parco-ricambi che c’era una volta non ha più motivo di esistere, perché non è più prevista la possibilità di operare tante sostituzioni. Il campionato è stato rivisto al fine di evitare questa situazione per dare così un freno ad eventuali escalation. In questi anni sono stati introdotti dei parametri di livellamento che non impediscono certo a chi vuole spendere di più di farlo, ma in pratica, poi non è così matematico il ritorno dal punto di vista sportivo”.

L’obiettivo per il 2000 è il titolo marche, quindi inevitabilmente almeno una vittoria scratch per il 99?

“Diciamo di si, anche se per il momento l’obiettivo primario è cercare di concludere il maggior numero di gare, eliminando i problemi di affidabilità, obiettivo che nelle prime due uscite abbiamo fallito. Il nodo fondamentale per poter rispettare l’appuntamento con il 2000 si chiama “affidabilità”, ed è qui che bisognerà concentrare la maggior parte del lavoro di fine stagione. Un eventuale piazzamento sul podio è sempre gradito, ma in questo momento non è certo il cruccio principale”.

La 205 T16 dopo un buon debutto al Tour dominò tutto il fine stagione, con la 206 che è partita altrettanto bene si sta veleggiando sulla stessa rotta?

“Ripetere la storia è sempre difficile, anche in condizioni normali, figuriamoci con la concorrenza di oggi. Le vetture sono tante (almeno una decina) e tutte lì, ed inoltre gli altri hanno molta più esperienza, quindi è già difficile centrare anche un singolo successo, figuriamoci una serie”.

Oltre al complesso e variegato argomento affidabilità, dove si concentrerà il lavoro di questi mesi?

“Il punto cardine dei principali sforzi sarà la trasmissione, partendo dal cambio per arrivare alla gestione elettronica dei differenziali, uno dei pochi elementi che assieme agli ammortizzatori ci ha dato qualche problemino”.

Ha citato una parola chiave: “elettronica”; ma sulla 206 c’è già, oppure ci sarà nell’immediato futuro, qualche novità rivoluzionaria in questo campo?

“In quest’epoca non c’è spazio per nulla che meriti l’aggettivo rivoluzionario, tutti dispongono dei differenziali pilotati, tutti stanno lavorando sul cambio semiautomatico e qualcuno lo sta già utilizzando, tutti hanno una gestione del motore abbastanza sofisticata. Di cose da fare ce ne sono parecchie ma tutte le squadre procedono nella medesima direzione, quindi non c’è nulla da rivoluzionare. Bisogna vedere se saremo capaci di arrivare abbastanza in fretta ad avere le cose che hanno gli altri. Se poi si presenterà la possibilità di fare un passo in avanti non ci tireremo certo indietro, ma non si potrà certo trattare di elementi “micidiali” o determinanti”.

L’aver adottato la 206 come base per la WRC è stata un decisione presa da chi studia le esigenze di mercato. Ma a parte la distribuzione dei pesi, utilizzare una vettura così compatta non rappresenta uno svantaggio?

“Le dimensioni ridotte creano una concentrazione esasperata di tutta quella componentistica che devi obbligatoriamente avere. Quindi, particolari più piccoli, più compatti, ed un evidente difficoltà ad operare sostituzioni perché un pezzo tocca l’altro, e per smontarne uno devi smontarne due. Adesso la vettura ha trovato un ottimo equilibrio, purtroppo rimane la concentrazione ma qui non c’è nulla da fare. Le nuove regolamentazioni che hanno limitato le sostituzioni in qualche maniera hanno cambiato le linee guida della progettazione”.

Il reparto corse della Peugeot è passato all’improvviso dal campionato francese a quello mondiale, ed è stato così costretto ad attingere personale a destra e a manca. Dopo tre gare si è raggiunto il giusto amalgama oppure c’è ancora un po’ di ruggine?

“Quando prendi delle persone che provengono da realtà differenti e le fai operare assieme, è praticamente impossibile che possa funzionare tutto subito. Bisogna lavorarci sopra e modificare l’organizzazione in modo che tutto possa funzionare al meglio, e questo non si può certo pensare di farlo in un giorno o due”.

Dopo queste prime gare quali sono state le impressioni dei vertici del gruppo?

“Credo che nel complesso siano state abbastanza buone, perché hanno visto che il lavoro che è stato fatto è andato subito nella giusta direzione. La performance c’è, manca ancora l’affidabilità necessaria per vincere un campionato, ma per quella è necessario un minimo di esperienza. Le singole vittorie ci interessano relativamente. Per vincere un campionato bisogna sempre portare al traguardo due vetture”.

Dopo avere abbandonato la Toyota per alcuni anni è stato lontano dai rally. Ha trovato molti cambiamenti?

“Abbastanza. Quando ho lasciato i rally i cambiamenti erano appena cominciati, ed in questo periodo tra parchi assistenza e limitazioni, la maniera di operare e di utilizzare il personale è cambiata in maniera sostanziale. Si tratta di due momenti storici oramai incomparabili. L’unico rimpianto di quell’epoca, legato soprattutto alla realtà Toyota, è la multinazionalità della squadra di allora. È un elemento che crea un’atmosfera particolare”.