Montezemolo al Corsera ”Auto italiana? Non esiste più”

Audetto e Montezemolo, Rallye Sanremo-Sestriere 1971

L’ex presidente di Ferrari ricorda Sergio Pininfarina a dieci anni dalla scomparsa: ”Aveva una straordinaria passione per Torino e un profondo senso dello Stato. Ce ne sono altri così in circolazione?”. E poi aggiunge: ”Non esiste più l’auto italiana. Resta solo la Ferrari. A Torino poco o niente”.

Domenica 9 ottobre, ben nascosta nelle pagine torinesi del Corriere della Sera, viene pubblicata un’intervista clamorosa Luca di Montezemolo. Autore dell’intervista è il giornalista Christian Benna. Clamorosa, perché con grande naturalezza Montezemolo spiega a tutti coloro che si mettono le fette di prosciutto sugli occhi che “non esiste più l’auto italiana. Resta solo la Ferrari. A Torino poco o niente”.

Aggiungendo un dettaglio non da poco, e cioè che Stellantis “è un gruppo francese, non italiano. Il design che ha prodotto il nostro Paese è stato e continua ad essere, anche se non più nell’auto, un valore culturale. Sergio Pininfarina è stato l’emblema di quei valori. Quando posava la sua matita non c’era quasi bisogno di mettere il logo Ferrari o Made in Italy, lo capivi subito che quel prodotto arrivava da quella mano. Questo è un valore che rischiamo di perdere”.

Ma non solo. Riferendosi a Torino, aggiunge che è una città “triste. Forse lo dico perché mi vengono in mente quei giganti che hanno segnato un’epoca. Ma mi pare un territorio giù, quasi depresso. Torino è stata una delle capitali più importanti del mondo nel campo del design e dell’industria automobilistica. E si producevano prodotti che duravano nel tempo, che a volte diventavano quasi immortali”.

L’intervista integrale di Montezemolo al Corsera

Luca Cordero di Montezemolo, quando ha incontrato per la prima volta Sergio Pininfarina?
“Una vita fa. Era la fine del 1973. Io ero appena entrato in Ferrari. Capitava di incrociarci quando veniva a parlare con Enzo Ferrari. Due miti a confronto e io che cercavo di farmi largo. All’epoca ero a capo della gestione sportiva, reparto corse. Quindi era una conoscenza vissuta da lontano. La collaborazione vera e propria è venuta molto dopo”.

Sempre in Ferrari. Che ricordi ha?
“Nel dicembre 1991 divento presidente di Ferrari. Oltre alla gestione sportiva dovevamo mettere mano alle nuove auto. Parlai subito con lui, il principe dei car designer. La prima vettura a cui lavorammo fu la F355, 8 cilindri. Per fare auto bellissime in quegli anni bisogna venire a Torino, era un automatismo”.

Oggi non è più così?
“Non esiste più l’auto italiana. Resta solo la Ferrari. A Torino poco o niente”.

C’è Stellantis a Mirafiori, con la 500 elettrica e la Maserati.
“È un gruppo francese, non italiano. Il design che ha prodotto il nostro Paese è stato e continua ad essere, anche se non più nell’auto, un valore culturale. Sergio Pininfarina è stato l’emblema di quei valori. Quando posava la sua matita non c’era quasi bisogno di mettere il logo Ferrari o Made in Italy, lo capivi subito che quel prodotto arrivava da quella mano. Questo è un valore che rischiamo di perdere”.

Torino soffre il declino perché orfana di grandi aziende italiane o di figure carismatiche come quella di Sergio Pininfarina?
“Le due cose vanno a braccetto. Tengo a ricordare che ci sono stati solo tre presidenti di Confindustria espressione del territorio: l’avvocato Gianni Agnelli, Sergio Pininfarina e il sottoscritto. Tutti esponenti di un mondo che viaggiava a motore e della grande filiera industriale dell’automotive. E non a caso durante la mia presidenza in viale dell’Astronomia ho voluto come vice Andrea, figlio di Sergio, un visionario e industriale vero come il padre”.

Come si ricostruisce una leadership industriale e di un territorio?
“Se penso a Sergio mi vengono in mente tre cose, tutte collegate al suo modo di lavorare. Era innovativo, sempre. Anche quando si confrontava con marchi storici come Ferrari. Aveva un’attenzione maniacale ai dettagli: non potete immaginare quante ore siamo stati a guardare e riguardare i particolari degli interni come degli esterni. Terzo: l’originalità. Lui era il brand dell’azienda. Unico e inimitabile. Questo è il modo in cui matura la leadership”.

Pininfarina sarebbe un genio del design anche con la svolta elettrica?
“Non cambia nulla. Il design può avere libero sfogo anche su vetture elettriche. Semmai il problema è che non c’è più l’auto italiana: ribadisco, tolta la Ferrari non esiste più l’auto made in Italy, Lamborghini è tedesca, Fiat è francese. E anche tanti grandi carrozzieri torinesi sono spariti. Così è più difficile far emergere il talento dei nostri design e delle imprese”.

Cosa pensa della Torino di oggi?
“È triste. Forse lo dico perché mi vengono in mente quei giganti che hanno segnato un’epoca. Ma mi pare un territorio giù, quasi depresso. Torino è stata una delle capitali più importanti del mondo nel campo del design e dell’industria automobilistica. E si producevano prodotti che duravano nel tempo, che a volte diventavano quasi immortali”.

Torino è destinata a diventare periferia?
“Oggi lo è. E Sergio ne sarebbe dispiaciuto: è stato il primo a parlare di Tav perché era talmente attaccato al territorio che non poteva concepire l’idea di una Torino periferica. Sergio temeva che l’isolamento avrebbe prosciugato la città. Anche in questo la pensavamo allo stesso modo: non a caso ho fondato Italo”.

Non ci sono degli eredi?
“Purtroppo è venuto a mancare il figlio Andrea Pininfarina. Oltre che un amico, era uomo dalla schiena dritta, uno dei più grandi ambasciatori dell’industria Italia, un grande interprete del made in Italy nel mondo”.

C’è anche un’eredità morale a cui tutti possono attingere.
“Le cose che lui ha detto sono ancora valide. Per certi versi ha anticipato i tempi. Sergio fu eletto con il Partito Liberale ed era davvero un liberale: un gran signore, una persona educata che aveva una straordinaria passione per Torino e un profondo senso dello Stato. Ce ne sono altri così in circolazione?”.