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Loris Roggia, ricordo di un uomo rivoluzionario

Andrea Aghini e Loris Roggia con la Subaru Impreza WRC al Rally del Ciocco 2001

‘Gorby’, come lo chiamavano i più cari, nei ricordi di tre suoi fraterni amici, Gianni Del Zoppo, Pierangela Riva e Massimo Ercolani. Con il copilota di Pianezze, morto in un incidente avvenuto al Rally del Salento del 20 giugno 2003, loro hanno diviso l’abitacolo della vettura, le lunghe giornate delle ricognizioni, i successi e le sconfitte di squadra e un forte sentimento di solidarietà reciproca. Un ritratto a più mani, con storielle e aneddoti dedicati a Loris Roggia…

Ho girato e rigirato, senza sapere dove andare. Ed ho cenato a prezzo fisso seduto accanto ad un dolore”. Non c’è di meglio dell’attacco della canzone “E tu come stai?” di Claudio Baglioni per ricordare che quel dolore, per noi appassionati, ha un nome e un cognome: Loris Roggia. Un nome, due parole. Due iniziali, LR, rimaste nel cuore di ogni appassionato di rally. È il 20 giugno 2003. Al controllo orario prima di quella maledetta PS, Gigi Pirollo sta raccontando con fare teatrale a Loris una barzelletta, da sempre un modo con cui Gigi scioglie la tensione in gara. Ma il tempo stringe, bisogna partire. Pochi chilometri e, dopo la fine della prova speciale numero 3, Roggia non deve altro che aspettare l’arrivo di Pirollo per sentire la fine della barzelletta. E Pirollo è uno dei pochi che riesce a fare sorridere ogni tanto Loris, che è uno allegro e votato al buon umore, ma a modo suo e del tutto ermetico.

Quel 20 giugno 2003, Roggia non riuscirà ad arrivare alla fine della prova speciale per ridere. In quel Rally del Salento, il copilota di Pianezze, ignaro di quanto sta per accadere, legge le note ad Andrea Aghini a bordo della Peugeot 206 Super 1600 numero 7. L’equipaggio Peugeot Italia parte per affrontare la PS3 Litoranea, 16,690 chilometri di stradine strettissime nella zona del Capo di Santa Maria di Leuca. La vettura si schianta contro una “pajara”, una sorta di trullo, e Loris perde la vita per emorragia interna causata dalla frattura del rachide cervicale.

La notizia fa il giro di mezzo mondo, rimbalza dall’Italia, alla Francia, dalla Spagna, all’America, dalla Grecia alla Finlandia, fino a Cipro. L’ambiente dei rally sa di aver perso un uomo simbolo. I giorni sembrano non passare mai. Le novità si inseguono per poi lasciare spazio al silenzio. E poi ancora brutte notizie. Lunghe indagini, udienze… Poi, per tutti, tranne che per la moglie Cristina Larcher, rimasta sola con i suoi tre figli, Matteo Christian e Alessandro, i mesi iniziano a scorrere ad un ritmo più normale. Ma nessuno dimentica Loris il copilota professionista. Loris il geniale ideatore di Rallylink.it con il suo amico informatico Claudio Carusi. Loris Roggia il tecnico competente di regolamenti. Loris Roggia il “rivoluzionario sovversivo” che crederebbe ancora oggi, come credeva ieri, nella libertà di parola più dei giornalisti. Non si può dimenticare.

Loris Roggia insieme alla moglie Cristina Larcher e ad uno dei suoi due figli
Loris Roggia insieme alla moglie Cristina Larcher e ad uno dei suoi due figli

Il 20 giugno è un giorno triste per il rallysmo, è vero, ma in tanti ci arrivano con uno splendido ricordo nel cuore e nella memoria, quello che accompagna le belle persone, i grandi appassionati, gli uomini capaci, umili e sereni. Loris era questo e altro ancora. Un creativo, che finché c’è stato ha fatto sentire la sua utile e a volte indispensabile presenza. Nominare il navigatore di Pianezze risvegliava e risveglia nei suoi amici ricordi speciali. Chi con Loris ha diviso l’abitacolo della macchina, la paura di una sconfitta, la gioia di una vittoria, la camera d’albergo, il tavolo del ristorante o le cene a base di patate con le cipolle allo speck nel suo “rifugio” di Gargazzone, rivede scorrere frammenti di vite che si ha voglia di condividere con gli altri.

Gli episodi si accavallano, uno dietro l’altro. Sono tanti, tutti particolari. Da quando insieme agli amici della Pesa del bar Mason disputava qualche rally abusivo con la macchina della mamma, primi anni Settanta, fino a quando è diventato professionista, inizio Anni Ottanta. E d’altra parte la carriera di “Lorito”, come lo aveva ribattezzato Gustavo Trelles, o “Gorby”, come lo chiamavano tutti gli amici, è lunga e ricca. Ventisette anni. Inizia nel 1976 al Rally di Cesena e prosegue negli abitacoli delle vetture di Alberto Zanusso, Miki Biasion, Vittorio Caneva, Franco Ceccato, Paolo Baggio, Franco Corradin. E ancora, Massimo Ercolani, Gianni del Zoppo, Gustavo Trelles, Michele Rayneri, “Gibo” Pianezzola, Andrea Aghini e Fabio Frisero.

Storie e aneddoti su Loris Roggia

Quanto abbiamo riso quella volta che…

Io e Loris eravamo un po’ simili. Né io né lui eravamo dei campioni di parole e capitava spesso di stare insieme in auto senza dire nulla per ore. Tutti e due zitti. Loris tornava allegro solo se sentiva qualcuno parlare in dialetto veneto, oppure quando andavamo a mangiare”, aveva raccontato in vita il sammarinese Massimo Ercolani, pilota e grande amico di Loris Roggia: Era un gran professionista, preciso e molto corretto. Era soggetto a frequenti sbalzi di umore e, quindi, capitava spesso di discutere in modo animato. Riuscivamo a litigare anche sull’assetto della vettura. Ho iniziato a volergli bene per quanto era bravo e pignolo, non certo perché aveva un carattere facile. Quando prendevi il via per disputare una prova speciale, non erano ammessi cali di tensione. Dovevi correre con il coltello tra i denti. Si poteva anche perdere una gara, ma non doveva essere colpa dell’equipaggio. L’errore umano, Loris non lo ammetteva: ogni volta che eravamo costretti a ritirarci, “Gorby” stava male per ore. Cambiava colore”.

Come Giulietta e Romeo

Ercolani era stato uno dei pochi testimoni del colpo di fulmine scoccato tra Roggia e la Larcher. “Era il 1985. Io correvo con Loris e Cristina, oltre a fare la giornalista per RallyReport, navigava Paola De Martini. Loro due si fidanzarono poco dopo il Targa Florio. Ma la cosa divertente era il senso di discrezione e riservatezza che proteggeva quella coppia. Tutti sapevamo, ma facevamo finta di nulla, nonostante desiderassimo vederli insieme. La storia andò avanti così, in gran segreto, fino al 1992. Poi, un giorno chiamai Cristina per chiederle se faceva il San Marino e lei mi rispose: no, non posso disputarlo. Io esterrefatto le chiesi di nuovo: come non fai il San Marino porca miseria, stai scherzando? Diretta come è sempre stata, la Cristina mi confidò: non posso correre perché aspetto un figlio da Loris…”.

Devi guardare sempre avanti

Gianni Del Zoppo, che nel 1986 ha “ospitato” sul sedile di destra della sua Fiat Uno Turbo IE Loris Roggia, con il quale ha disputato tutta la stagione iridata salendo anche sul terzo gradino del podio in Portogallo, è molto contento di poter parlare del suo ex navigatore. “Loris aveva una passione allucinante. Amava i rally nel vero senso della parola. Inoltre, era preciso e puntiglioso. Ho iniziato ad adorarlo perché aveva navigato i migliori piloti e, da loro, aveva assimilato tutti i pregi. Ma non era un individualista. Lui mi conferiva tutta l’esperienza che possedeva. Viveva per la squadra, qualunque fosse il team alle sue spalle in quel determinato momento. E io lo ascoltavo con immenso piacere, perché dava dei consigli veri, utili. Quando è diventato il mio copilota, io avevo 35-36 anni e correvo già da un po’. Nonostante ciò, mi ha insegnato una delle cose più importanti: guardare sempre avanti, una caratteristica rara tra i piloti. Per un anno intero mi ha “martellato” con frasi del tipo: tu con lo sguardo sei troppo vicino, devi guardare lontano, all’esterno della curva, sempre più avanti. Aveva ragione, perché così facendo la qualità di guida e di resa aumenta notevolmente. Io poi ho insegnato questa tecnica a mia moglie”.

Voleva parlare veneto in Portogallo

Loris non era solo consigli. Pur essendo un uomo chiuso e un po’ schivo, riusciva con una gran naturalezza a dar vita a situazioni paradossali e comiche. In Portogallo, sempre nel 1986 con Del Zoppo, ogni sera cambiavano albergo. “Andavamo a dormire sempre in un posto diverso. Una notte stavamo cercando sei posti letto, ci eravamo dimenticati di prenotare. Trovata la pensione, Loris scende dalla macchina per andare a contrattare. Dopo una ventina di minuti non era ancora tornato. Allora sono andato a vedere cosa stava accadendo. La scena che mi sono trovato davanti era fantozziana. Loris pretendeva di contrattare le camere parlando il dialetto veneto. La ragazza gli ripeteva in portoghese che non capiva nulla di ciò che lui stava dicendo, ma Loris continuava a tenerla per mano e a dirle: ti si bea, ma noaltri gavemo da dormir (tu sei bella, ma noi altri dovremmo andare a dormire, ndr). Prima ho riso a crepapelle per una decina di minuti e poi, con quel poco di inglese che conosco, sono riuscito a spiegare alla reception cosa ci serviva e siamo andati a dormire. Il giorno dopo siamo arrivati terzi assoluti”.

Loris Roggia imprigionato nel nostro giardino

Vincitrice della graduatoria femminile del Campionato Italiano Rally 1987 con la Lancia Delta HF 4WD, Pierangela Riva è stata compagna di squadra di Roggia. “Ho avuto la fortuna di conoscere bene Loris e non ho incontrato alcuna difficoltà ad affezionarmi. Era un collega e un amico eccezionale e aveva una caratteristica che conservava sempre, anche fuori dalle gare: era pignolo e preciso all’inverosimile, al punto che mi ha contagiato e fatto diventare testarda – ha raccontato la moglie di Gianni Del Zoppo –. Conosco molto bene anche “Crì”, la moglie. È stata la mia navigatrice nel 1987: abbiamo corso il Sanremo e siamo arrivate quinte in N4. Quando sento parlare di Loris, la prima cosa che mi viene in mente è un episodio extra sportivo, avvenuto nel 1988. Premetto che per Loris i chilometri erano come i centimetri. Avevo da poco partorito e io Gianni andavamo a dormire tardi, considerato che il “piccolo” faceva l’ultima poppata a mezzanotte. Loris, che in quel periodo aveva dei problemi personali, mi telefonò alle 23 e disse: sono a Milano, faccio un “salto” da te a Como, ho bisogno di parlarti. Arrivò dopo circa venti minuti. Quella sera rimase con noi fino alle 2. Io e Gianni lo invitammo a dormire a casa nostra, ma lui non era d’accordo. Era l’uomo della notte. Salì in macchina e partì. Noi andammo a coricarci. Ad un certo punto, nel dormiveglia, sentimmo bussare con forza alle finestre della camera. Saltammo fuori dal letto, aprimmo la finestra e ci ritrovammo Loris davanti. Ci eravamo dimenticati di aprire il cancello e lui era rimasto lì ad attendere. Aveva anche suonato col clacson della sua auto, ma noi tra stanchezza e doppi vetri, non avevamo sentito nulla. Da quella volta mi è rimasta la paranoia di lasciare intrappolati gli ospiti in giardino. E quando un nostro amico va via, io e Gianni ci domandiamo, fino ad andare a verificare di persona, se il cancello lo abbiamo aperto, oppure no. La frase più ricorrente ancora oggi è: non facciano come quella volta con Loris”.

Quella volta sulla neve in Svezia

Nel 1988 eravamo in Svezia – raccontava in vita il sammarinese Ercolani –. Io non avevo mai corso sulla neve e avevo anche la febbre. Ero praticamente all’esordio ed ero costretto a vivere col trauma di Vittorio Caneva. Loris mi parlava sempre e solo di lui: Caneva è bravo, Caneva è un campione, Caneva di qui e Caneva di lì. Per sentirmi un po’ più “degno” di Roggia, accettai di andare a provare verso l’1.30 di notte una parte di una PS in prossimità di un lago ghiacciato: corremmo tutta la notte con uno sportello e un finestrino aperto per fare uscire l’acqua che entrava nell’abitacolo. La mattina partimmo bene, nonostante non avessimo quasi dormito, su quella prova rimanemmo impantanati. Sapendo che dietro di me c’era Caneva, dissi a Loris: sali sul dosso e segnala a Vittorio di rallentare. Quando Caneva si accorse che Roggia gli intimava di diminuire la velocità, fece l’esatto contrario: accelerò e saltò così alto che centrò in pieno la mia Mazda 323 4WD. A quel punto guardai diritto negli occhi il mio navigatore e gli dissi: hai visto il tuo campione? Ci guardammo in faccia e ridemmo per ore”.