L’evoluzione tecnica del turbo: da Garrett a KKK K27
Grandi furono le criticità riscontrate nell’evoluzione tecnica del turbo, ma la tecnologia corse veloce rendendo il prodotto sempre più performante, affidabile ed economico. Apparentemente uguali ai turbo moderni, i primi che furono costruiti erano costosi, pesanti, ingombranti e avevano limitate capacità di resistenza a fronte delle elevate temperature dei gas di scarico e delle, per allora, elevate velocità di rotazione.
Di Stefano Gallo, La Manovella
In Europa i primi turbocompressori arrivarono dall’americana Garrett, nome che poi con gli anni è diventato famoso, creandosi sin dall’inizio la posizione di leader indiscusso. La risposta europea arrivò subito dalla tedesca KKK che generò una forte competizione tecnica. Nel resto del mondo si lanciarono nell’avventura anche le Giapponesi Mitsubishi, IHI e Toyota mentre in Inghilterra la Holset si specializzò su turbocompressori di grossa taglia per motori Diesel e in Germania nacque, oltre alla KKK, la Schwitzer.
Il turbo arrivò sui motori da autovettura in un momento storico per l’automobilismo decisamente entusiasmante e trovò quindi subito la strada aperta nel settore delle competizioni sia in Formula 1 sia nei rally portando un’incredibile ventata tecnologica ed aprendo le porte a una sperimentazione a tutto campo, che coinvolse non solo il turbo stesso ma tutti gli organi motore che di colpo si trovarono ad essere incredibilmente sollecitati. I primi turbocompressori furono realizzati con materiali nobili, ma ovviamente ancora non del tutto idonei per l’utilizzo prefisso e grazie ad assemblaggi manuali che prevedevano un largo impiego dell’uomo e della sua abilità.
Grandi furono le criticità riscontrate ma la tecnologia corse veloce rendendo il prodotto sempre più performante, affidabile ed economico. Apparentemente uguali ai turbo moderni, i primi che furono costruiti erano costosi, pesanti, ingombranti e avevano limitate capacità di resistenza a fronte delle elevate temperature dei gas di scarico e delle, per allora, elevate velocità di rotazione. Molteplici furono i problemi riscontrati durante l’uso diffuso sui motori benzina e principalmente erano la resistenza del materiale del carter di scarico, la cokerizzazione dell’olio all’interno del turbo, la bilanciatura del rotore e la capacità di sostenere la spinta assiale del rotore generata dai gas di scarico e dalla depressione in aspirazione.
I primi anni furono tutti dedicati alla risoluzione di questi problemi e alla definizione di nuove raffinate aerodinamiche capaci di aumentare il rendimento dell’intero gruppo. I turbo storici più famosi furono il Garrett T3, il KKK K27, il Mitsubishi TD05H e l’IHI RHB5, macchine fantastiche che mostravano fra di loro un diverso approccio al problema del sostentamento del rotore, le cui giranti raggiungevano velocità periferiche inferiori ai 450 m/s mentre oggi si corre verso la soglia dei 600 m/s.
La scritta Garrett fu la più diffusa e comparve su molte vetture ma la più famosa fu certo quella applicata sul paraurti anteriore delle Lancia Delta del Campionato mondiale rally, quando la “regina” vinceva senza sosta portando il marchio Lancia e quindi anche Garrett a essere famosi in tutto il mondo. All’inizio degli anni Ottanta la Fiat decise di lanciarsi anch’essa nella costruzione dei turbocompressori e lo fece incaricando l’Alfa Romeo Avio di Pomigliano, la quale realizzò un unico modello sviluppato in modo specifico per il motore Alfa Romeo 1.8 litri che allora era equipaggiato con una turbina Garrett T3 con compressore 45 trim e scarico da 48 A/R.

Il turbo Alfa Romeo soprannominato Aravio fu installato su di una piccola serie di motori che furono testati presso l’allora ancora esistente stabilimento del Portello a Milano, sotto la direzione degli ingegneri Merlin e Satta Puliga, che operavano all’interno del piccolo Centro ricerche. Dopo la parentesi Alfa Romeo, la Fiat delegò alla Piaggio lo sviluppo della produzione di turbo in Italia e quest’ultima creò nella storica sede di via Ceppi, a Genova, un piccolo team capeggiato dall’ingegnere Italo Omero Romiti, con alle dipendenze l’ingegner Angelo Comotti e Stefano Gallo Perozzi.
Nel 1985 la Piaggio avviò una joint venture con la Mitsubishi Heavy Industries a seguito della quale fu avviato un centro di sviluppo e poi finalmente la produzione di turbocompressori in Abruzzo e più precisamente in Val di Sangro nel comune di Atessa. L’accordo durò dal 1985 al 1991 e durante tale periodo furono sviluppati e prodotti i turbocompressori per l’Alfa 164 2 litri 6 cilindri turbo benzina prima serie il cui sviluppo fu seguito dagli ingegneri Picone e Lanati e il turbo per il Fiat Ducato 1.930 cm³, la cui progettazione motore fu seguita dagli ingegneri Stroppiana e Ceronetti operanti a Mirafiori.
Dopo questa parentesi, la storia del turbo Italiano è passata nelle mani della ormai leader di settore, ovvero la Garrett, la quale nel 1991 ha rilevato lo stabilimento Piaggio di Atessa, portando la produzione dei turbocompressori a toccare un massimo di 12.000 turbo al giorno. Per quanto riguarda la produzione dei motori italiani, memorabili sono state le turbine Garrett T3 con compressore T4 per Lancia Delta Integrale versione rally 330 Cavalli gestite dal team dell’ingegnere Lombardi, supportato dagli ingegneri Roffina e Venturello, così come il turbo sempre Garrett ma modello T31 per l’Alfa 75 da 430 CV, sviluppato per le gare del Campionato Italiano Velocità Turismo o il turbo per Alfa Romeo Indianapolis realizzato con un carter turbina in lamiera d’acciaio saldata e girante turbina ceramica: entrambi i progetti furono gestiti dall’ingegner Lombardi, da Pianta e dal brillante tecnico motorista Ruggero Barbieri.
Grande fu la battaglia fra i due colossi, l’americano e il tedesco, per la fornitura di turbocompressori per la scuderia Ferrari di Formula 1, mentre la blasonata Maserati lanciò l’ardito programma della biturbo collaborando con l’IHI giapponese, con la quale il patron della Maserati, Alejandro De Tomaso, era entrato in contatto grazie all’utilizzo del motore Isuzu 3 cilindri turbo montato sulla Mini De Tomaso, progetti sviluppati dall’Ingegner Casarini e dal suo stretto collaboratore, il signor Palmiro.
Non moltissimi sono i nomi da affiancare alla storia del turbo in Italia, ma certo tutte le nostre “menti brillanti” furono coinvolte nello sviluppo sia del settore auto sia dei comparti del trasporto pesante, navale e industriale. Negli anni d’oro, oltre ai nomi già citati spiccavano nel campo delle progettazioni motore quelli dell’ingegner Petronio e dell’ingegner Massai per i motori Lancia, Maini e Menozzi per la VM Motori, l’ingegner Duri per la Lombardini, l’ingegner Macchi per la Same/Lamborghini, i fratelli Negri per la FNM, i fratelli Polverelli per la Giannini, insieme all’originale ingegner Palanca, il più che famoso ingegner Chiti per la Subaru Motori moderni e altri ancora, tutti legati sempre ed indissolubilmente da una grande passione.
Spesso sono stati i “dietro le quinte” a portare avanti nuove intelligenti soluzioni che hanno permesso ai motori turbo italiani di essere sempre all’altezza della concorrenza, se non addirittura sopra, una storia che prosegue con nomi nuovi e tecnologie nuove, che continuano ad appassionare gli amanti dei motori.