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La Lancia Stratos e i ricordi di Sandro Munari

1974, la crisi petrolifera azzoppa il Mondiale Rally

”L’analisi del diverso comportamento sullo sterrato e sull’asfalto ha consentito di capire e risolvere il problema: è stato cambiato il portamozzo, che da scatolato è diventato una fusione. Da allora la sportiva Lancia è decollata e ha cominciato a vincere su tutti i terreni, dalla Svezia, con Waldegaard, al Portogallo. Abbiamo cominciato a vincere ovunque e quando abbiamo detto: ”Andiamo a fare il Safari perché possiamo vincerlo” siamo partiti con due macchine, facendo tuttavia pochissime prove”. Parola di Sandro Munari.

di Sandro Munari

La Stratos è nata con il contributo di tante persone: tutti hanno fatto la loro parte, i meccanici, i tecnici, i piloti, i navigatori, nonché le “alte sfere”, tra le quali abbiamo sentito come sono andate le cose. La Stratos ha rivoluzionato un po’ l’ambiente rallistico; essa è nata grazie a Nuccio Bertone, che ricordo con grande piacere. La “rivoluzione” portata dalla Stratos è stata innanzitutto tecnica: fino all’inizio degli anni ’70, le vetture che venivano adoperate per correre nei rally di solito provenivano dalla produzione di serie. Venivano un po’ arrangiate, irrobustite in qualche parte, poi si andava a correre.

La Fulvia ne è stata un esempio: una vettura eccezionale, pur non essendo nata per le competizioni. Non offriva grandi opportunità di interventi tecnici: aveva una balestra anteriore trasversale, un assale posteriore rigido, quindi c’era pochissimo da modificare, tranne gli ammortizzatori e le molle, o l’aggiunta di una balestra quando si doveva alzarla, per avere una vettura preparata per correre in terreni più accidentati, come quello del Safari e gare simili.

La Stratos è stata invece concepita per le competizioni, con sospensioni indipendenti, posteriormente con un sistema McPherson, e, per la prima volta nei rally, con uno studio di aerodinamica, di cui fino a quel momento non si era mai parlato. Richiedeva una certa assistenza e controlli, ma si adattava benissimo a qualsiasi situazione e condizione stradale. Secondo me, e l’ha dimostrato anche con le sue vittorie, è stata la macchina più polivalente, perché ha corso in tutte le condizioni e ha vinto in tutte le condizioni, tranne il Safari … Adesso qualcuno arriverà e dirà: “Tranne il Safari”… Bene, voglio togliermi subito il dente, parliamo subito di quello.

La Stratos è nata con caratteristiche prevalentemente stradali, più consone a strade asfaltate: le sospensioni avevano uno scuotimento non molto ampio, quindi in situazioni un po’ particolari come gli sterrati, soprattutto quelli di una volta, ci si doveva aspettare che potesse avere dei problemi. Il primo Safari l’abbiamo fatto nel ’75; la vettura era ancora con motore a due valvole e mi ricordo che io insistetti per andare a fare il Safari. Ero stato un po’ bersagliato dalla stampa in maniera pesante e tutta l’organizzazione, il reparto corse Lancia e anche i vertici erano stati criticati perché si andava a correre una gara con una vettura che si diceva non sarebbe stata sicuramente all’altezza.

Devo dire che pur non avendo vinto il Safari con la Stratos sono ancora contento di averlo disputato e convinto che la Stratos avrebbe potuto vincerlo, che non c’era niente che potesse precludere la possibilità della vettura, che era veramente eccezionale. Ho passato notti e giorni a lavorare assieme a tutti i tecnici, soprattutto all’inizio, l’ha ricordato anche l’ing. Gobbato, quando c’era il problema del serpeggiamento della vettura. Non era facile venirne a capo, perché pur trasmettendo ai tecnici le mie sensazioni di guida, non si riusciva a individuare l’origine del problema. In quei momenti ero anch’io sconfortato e ho preso diverse paure, soprattutto sul dritto, quando si andava anche forte.

Allora per la messa a punto della macchina erano fondamentali le indicazioni del pilota; ovviamente erano sensazioni, mentre oggi esistono tecnologie che consentono di sopperire alle informazioni date dal pilota, come la telemetria. Tutto si basava sul rapporto tecnico-pilota e sulle sensazioni del pilota.

Nelle prime fasi di sviluppo della Stratos, dicevo, era come se la macchina fosse tagliata a metà, come se a metà ci fosse una cerniera, la metà anteriore fa una cosa e quella posteriore ne fa un’altra. Non si riusciva a capire da dove derivasse questo comportamento: perché? Quando partivamo la macchina era a posto, staticamente le geometrie erano a posto, ma appena in moto faceva un po’ quello che voleva lei, una volta sottosterzante, un po’ sovrasterzante, era incontrollabile. Sullo sterrato andava bene e da qui abbiamo cominciato a capire: era una questione di attriti.

Con le gomme strette sullo sterrato l’attrito ovviamente è minore, quindi lo sforzo che faceva la sospensione, che poi finalmente abbiamo individuato, era minore, quindi le geometrie restavano quelle impostate da fermo. Mentre sull’asfalto con le gomme larghe l’aderenza al suolo aumentava, il portamozzo fletteva creando una torsione sulle sospensioni posteriori e tutto l’assetto veniva alterato.

L’analisi del diverso comportamento sullo sterrato e sull’asfalto ha quindi consentito di capire e risolvere il problema: è stato cambiato il portamozzo, che da scatolato è diventato una fusione. Da allora la Stratos è decollata e ha cominciato a vincere su tutti i terreni, dalla Svezia, con Waldegaard, al Portogallo. Abbiamo cominciato a vincere ovunque e quando abbiamo detto: “Andiamo a fare il Safari perché possiamo vincerlo” siamo partiti con due macchine, facendo tuttavia pochissime prove.

Adesso siete abituati a vedere le squadre corse che si muovono in maniera simile a quelle di Formula 1: elicotteri, macchine, mezzi, meccanici e tutto quanto. Una volta avevamo dei budget molto più ristretti e di solito si andava a fare le gare oltre oceano affittando delle macchine sul posto, facendo un po’ di ricognizione. Solo la prima volta che siamo andati con la Stratos abbiamo portato il muletto per vedere almeno cosa succedeva e cosa c’era da fare. Ma non facemmo tutto il percorso, solo dei test abbastanza limitati.

La vettura che abbiamo utilizzato per le prove, oltre a quella di Waldegaard e alla mia, era stata poi prestata a un pilota locale figlio di Vic Preston. Era un po’ uno scambio merci perché noi avevamo utilizzato tutta la loro base logistica, cioè il garage e altro, abbiamo detto: “Diamo una contropartita”. Siccome il figlio di Preston correva soltanto in Kenia, non era un pilota professionista, gli abbiamo dato il muletto utilizzato per le prove.

Sandro Munari al Safari Rally 1977 (foto Munari-Mannucci Fans Club)
(foto Munari-Mannucci Fans Club)

La Lancia Stratos e il Safari Rally 1975

Allora, si era nel ’75, al Safari partivano settanta o ottanta vetture; le strade non erano quelle di adesso e la lunghezza della gara neppure! Adesso sono 1800-2000 chilometri e in più non si corre di notte; le macchine allora dovevano avere l’impianto elettrico in grado di sopportare molte sollecitazioni e a volte nascevano grandi problemi all’alternatore, soprattutto quando si dovevano usare gli strumenti necessari a vedere bene, il tergicristallo, i fari supplementari, … di notte venivano fuori tantissimi problemi.

La vettura doveva essere molto più completa, come doveva essere completo un pilota che doveva stare dei giorni in macchina, si correva di giorno e di notte. La lunghezza del Safari all’epoca era, mi pare, di circa 6000 chilometri, quindi terminare la gara era un grande merito. Voglio sottolineare che se la Stratos partecipasse oggi al Safari, secondo me potrebbe ancora dire la sua, tanto più se avesse le quattro ruote motrici!

Nel ’75 giunsero al traguardo 11 vetture: io arrivai secondo, Waldegaard terzo e Vic Preston undicesimo: tre Stratos partite, tre Stratos arrivate. Preston non aveva mai guidata la vettura prima, non era un pilota professionista, prese la macchina in mano appena prima di partire. I giornali scrissero: “La Lancia con Munari perde il Safari!” Questa fu la conclusione e la soddisfazione che mi diede la stampa! Devo però riconoscere che eravamo talmente forti dappertutto, che quando si arrivava secondi si era perso il Safari!

Ora vi racconto cosa mi accadde in quel Safari. Durante la gara avevo avuto un incidente, uno scontro con un altro concorrente, senza particolari conseguenze. A 500 Km dall’arrivo ero in testa. 500 Km sembrano tanti, ma su 6000 sono una distanza abbastanza accettabile, per cui l’obiettivo era consolidare il risultato conseguito fino a quel momento.

Fino a quel momento più che altro avevamo avuto problemi di gomme, che erano Pirelli. Quest’anno la Pirelli ha appena vinto il Safari in maniera schiacciante sulla concorrenza, però allora avevamo dei problemi. Può capitare che si fori una gomma, soprattutto in quei terreni, quindi non ne faccio una colpa alla Pirelli. Probabilmente non era stato sviluppato bene il pneumatico per quel tipo di vettura e in quelle condizioni, con la velocità, le sbandate laterali, le pietre: i fianchi non erano abbastanza robusti. La sfortuna fu che a 50 Km dalla fine della tappa forammo tre gomme in successione: avevamo due gomme di scorta, di più non ne potevamo portare, una era addirittura sul tetto, una al suo posto anteriormente. Quando abbiamo forato la terza gomma avevamo 56 minuti di vantaggio sul secondo in classifica ed eravamo, come dico, a 50 Km dalla fine della tappa dove c’era l’assistenza.

Noi eravamo molto meglio organizzati dei concorrenti, eravamo collegati via radio con un aereo con la radio per poter comunicare con le assistenze; era l’unica maniera, con quelle distanze. Quando cercammo di metterci in contatto con l’assistenza, non rispose nessuno: “Come? Non c’è nessuno?”. Non c’è nessuno. A bordo dell’aereo c’era Fiorio; anche loro si alternavano, perché era pesantissimo, si correva per cinque giorni, giorno e notte, si dormiva una volta a metà gara. Anche gli addetti all’assistenza si alternavano nell’aereo perché dovevano stare otto ore a girare sempre sopra la testa di noi che ci affannavamo con i nostri problemi e con tutte le cose che c’era da seguire. Bisognava stare attenti perché il Safari si corre su strade libere, non ci sono prove speciali come si è abituati adesso, con il percorso chiuso al traffico, tutti potevano partecipare alla competizione!

Non avendo risposta, cosa facciamo? Niente, andiamo avanti così: eravamo in mezzo al bush, sullo sterrato. Avevo un navigatore locale, Lofty Drews, molto bravo anche dal punto di vista meccanico. I locali erano abituati a risolvere problemi di tutti i generi perché per loro era normale restare a piedi nella savana, quindi dovevano sempre sapersi districare. Siccome l’ultima gomma bucata era posteriore, ci siamo detti: “Beh, montiamo dietro la ruota anteriore, fino a raggiungere la strada Nazionale.”

Per alleggerire l’avantreno Lofty si sedette dietro, in modo da far alzare la ruota anteriore destra. Finalmente arrivammo alla Nazionale, che non era comunque molto frequentata; erano già le cinque di sera, non è che passassero duemila macchine al minuto! Dopo molti sforzi Lofty riuscì a fare l’autostop, perdendo anche lì del tempo, per raggiungere l’assistenza, che distava ancora 14 Km: io intanto andavo avanti piano piano. Finalmente arrivò l’assistenza che cambiò la gomma. Non sapevamo perché non si potesse parlare con l’aereo, comunque cambiarono la gomma, arrivammo al controllo e alla fine perdemmo per 22 minuti una gara sicuramente vinta.

C’è ancora da spiegare come mai non ci fosse l’aereo. Siccome si avvicinava l’imbrunire, dovevano scendere, in quanto l’aereo era un bimotore che non poteva atterrare nei vari strip che si trovavano qua e là, utilizzabili normalmente dai monomotori; erano scesi a Nairobi prima che facesse buio. Quindi la Stratos, secondo me, era in grado di vincere anche gare come il Safari.