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La Lancia 037 e la Delta S4 portarono il rally ad un altro livello

lancia rally 037 e delta s4

Il problema di fondo della 037 e della S4 era, però, la sicurezza. E già la Lancia Rally diede delle pessime avvisaglie di ciò che poteva accadere al Tour de Corse del 1985, dove morì Attilio Bettega. La 037 era e resta un capolavoro, la S4 aveva una marcia in più che le aveva permesso di superare se stessa.

C’è una magnificenza brutalista nel cemento della fabbrica Mirafiori a Torino: una struttura che fu inaugurata per la prima volta nel 1939 sotto lo sguardo di Benito Mussolini – dopo che la Fiat aveva lasciato il suo storico edificio del Lingotto – e progressivamente ampliata nel corso degli anni. Col tempo divenne un quartiere a sé. Una città nella città dove le strade erano lastricate di automobili. Non solo Fiat, ma Alfa Romeo e Lancia (ricordate quelle?) poi anche Jeep e infine Stellantis. E quest’ultima parte essere il capolinea di tanta gloria.

Quella di Mirafiori era una fabbrica colossale, a quanto pare la più grande d’Europa, eppure al giorno d’oggi non è sfruttata, il che le conferisce un’aria malinconica di grandezza sbiadita. Da cattedrale nel deserto, in cui gli unici soldi sprecati sono stati quelli degli italiani che hanno pagato le casse integrazioni per non ritrovarsi nulla. Ma nei ricordi ancora colorati Torino è anche Lancia. Era Lancia, anche quella ormai è di Stellantis. E Lancia era rally, come e più di Fiat.

Il debutto mondiale della Delta S4 avvenne nel rally RAC del 1985, e fu un successo: primi due posti con le coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. La Delta S4 si dimostrò ben presto un’auto vincente. Ma il dramma era alle porte: nel maggio 1986 al Tour de Corse, Toivonen ed il suo copilota Cresto, fino a quel momento in testa al rally, uscirono di strada e perirono nell’incidente.

Prima ci fu la Lancia Rally 037, altra vettura agile, leggera e velocissima, ma soprattutto facile da riparare. Queste vetture portarono il rally ad un altro livello, dove non era mai stato prima e dove non sarebbe mai più tornato dopo. La cosiddetta epopea dei rally, il periodo d’oro, in cui tanti Costruttori realizzavano prototipi da rally nella speranza di poter battere le Lancia, o quantomeno stargli dietro ma non troppo lontano.

Il problema di fondo della 037 e della S4 era, però, la sicurezza. E già la Lancia Rally diede delle pessime avvisaglie di ciò che poteva accadere al Tour de Corse del 1985, dove morì Attilio Bettega. La 037 era e resta un capolavoro, la S4 aveva una marcia in più che le aveva permesso di superare se stessa.

“La Delta S4 rappresenta una tappa importante della mia carriera, in quanto è stata la prima vettura della quale mi sono occupato in veste di Direttore Tecnico Racing. Prima dipendeva però da me il reparto progettazione motoristica, sia stradale che corse, quindi sono legato anche ai modelli precedenti, come la Fulvia e la 037”, disse l’ingegnere Claudio Lombardi, facendo riferimento al fatto che la 037 aveva un propulsore per certi versi rivoluzionario in un epoca segnata dal Turbo, essendo sovralimentata con il compressore volumetrico.

“L’idea fu di un grande ingegnere motoristico dell’epoca, Aurelio Lampredi, che la ricordava bene sulle celebri “Alfetta” di Formula 1 – ricordava l’ingegnere Lombardi –. Il volumetrico però era stato messo in cantina da molti anni, quindi poteva sembrare un suggerimento eccentrico, specie in un periodo in cui tutto doveva necessariamente avere scritto “Turbo” a caratteri cubitali! Però nei rally, più che la potenza in alto, servivano cavalli e coppia a bassi giri, subito disponibili senza il famoso “vuoto” delle turbine di allora. Così, seppure tra una certa diffidenza generale, si decise di…riaprire la cantina. Disponendo di una vettura a sola trazione posteriore come la 037, che non poteva comunque gestire oltre una certa potenza, e che puntava invece tutto su leggerezza e facilità di guida, il Volumex, come lo ribattezzammo, si dimostrò ideale e diede molto filo da torcere alle Audi Quattro, regalandoci il mondiale marche 1983, conquistato con due punti di vantaggio sui tedeschi. Unire la coppia in basso del volumetrico alla potenza in alto del turbo sulla Delta S4 è stata una grande soddisfazione. A riguardo abbiamo registrato molti brevetti e per vedere qualcosa di simile è stato necessario attendere 15 anni…”.

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Il 14 dicembre 1981 Cesare Fiorio annunciava la nascita della Lancia Rally 037
Il 14 dicembre 1981 Cesare Fiorio annunciava la nascita della Lancia Rally 037

Lancia Rally 037: compito ingrato

L’ing. Sergio Limone fu il responsabile del progetto SE037 e fu Cesare Fiorio, il direttore sportivo Fiat, ad annunciare nel 1981 la nascita di un nuovo modello per il rally a causa dei cambiamenti nel regolamento. Il progetto fu sostenuto da una collaborazione tra Lancia, Pininfarina, Dallara e Abarth, riprendendo l’evoluzione della Fiat 030 realizzata dalla Abarth nel 1974 e fu presentato al 59º Salone dell’automobile di Torino nel 1982.

In sostanza si trattava di una vettura progettata in Abarth, sulla base del telaio della Lancia Beta Montecarlo Turbo da pista prodotto da Dallara e carrozzato in Pininfarina. All’inizio del progetto non era ancora stato deciso quale marchio sarebbe stato assegnato alla vettura. La versione stradale non riscosse particolare successo e neppure fu cercato, visto che per l’omologazione nel Gruppo B erano necessari solamente 200 esemplari del modello.

Montava un quattro cilindri in linea da 1995 cm³ di cilindrata, 16 valvole e sovralimentato da un compressore volumetrico volumex che sviluppava, di serie, 205 CV capaci di spingere la 037 a oltre 220 km/h e di farle raggiungere i 100 km/h da ferma in meno di 7 secondi. Rispetto alla “Montecarlo” era anche montato longitudinalmente anziché trasversalmente (variazione fatta con cilindrata e sovralimentazione diversa anche sulla coeva Lancia LC1 da endurance)

La 037 aveva però il difficile compito di sostituire la gloriosa Fiat 131 Abarth Rally che aveva raccolto numerosi successi. Si decise di scartare il sistema di turbocompressore in virtù di un compressore volumetrico sviluppato dall’Abarth e si sviluppò un telaio estremamente semplice e munito di sospensioni a quadrilatero come per i modelli da pista anziché del tipo MacPherson come sulla 131. Per risparmiare tempo e sui costi si pensò di usare il telaio già esistente, la Lancia Beta Montecarlo, versione sportiva della vettura che aveva avuto un grande successo, anche negli USA dove era venduta come “Scorpion”. Il telaio era stato realizzato presso Dallara, partendo dalla base della versione silhouette che disputava il Mondiale marche.

La versione da gara colse numerose affermazioni in campo rallystico, tra cui il titolo mondiale del 1983. Fu l’ultima auto a 2 ruote motrici a vincere il Mondiale Rally e fu anche l’unica a prevalere sulle più avanzate auto a trazione integrale. Costituì anche la base di sperimentazione per il propulsore Volumex + turbo della futura Lancia Delta S4 (Abarth SE038) con il prototipo denominato Mazinga.

Lo schema costruttivo della Lancia Delta S4
Lo schema costruttivo della Lancia Delta S4

Lancia Delta S4: ultima della serie

Nel 1985 la situazione del Mondiale Rally rendeva necessario, per essere competitivi, il confronto con la Peugeot 205 Turbo 16 al tempo ai vertici; l’ambito meccanico era quindi quello dell’ormai assodata trazione integrale, aperto all’inizio del decennio dalla Audi con la quattro. In casa Lancia-Abarth la Rally 037 a trazione posteriore, utilizzata fino ad allora nelle gare nonché ultima vettura a 2 ruote motrici a fare suo il titolo, appariva ormai superata e non più competitiva.

Per questi motivi il reparto corse torinese condotto dall’ingegner Claudio Lombardi diede vita alla Delta S4 (Sovralimentata e 4 per le quattro ruote motrici), con l’obiettivo di tornare protagonisti nelle competizioni rally internazionali del Gruppo B. In particolare, quest’auto fu l’unica Delta per le competizioni a non avere in pratica nulla da spartire con il modello di serie, tanto che fu necessario produrre e mettere in vendita al pubblico 200 esemplari stradali, come prescritto dal regolamento, per l’omologazione della vettura da gara.

Il naturale assemblaggio delle Delta S4 aveva origine nella sede dell’azienda Cecomp, che si occupava di premontare e saldare i telai in tubi di acciaio delle scocche, i quali venivano poi spediti presso la carrozzeria Savio, incaricata della costruzione e verniciatura delle resine. Terminate tali operazioni di base le vetture così pre-assemblate giungevano alla fabbrica Lancia di Borgo San Paolo, che eseguiva i processi connessi al montaggio finale, incluso quello degli organi meccanici e degli allestimenti interni. Ogni singolo motore veniva invece realizzato e collaudato dai tecnici dell’Officina Abarth di Corso Marche.

Il propulsore di questa vettura era un 4 cilindri in linea con una cilindrata di 1759 cc. Il motore, posto centralmente, aveva un basamento in lega di magnesio con testata in lega leggera di alluminio, inoltre le canne dei cilindri erano rivestite superficialmente con un raffinato e tecnologico trattamento a base di materiale ceramico, chiamato Cermetal.

Le valvole erano 4 per cilindro in Nimonic, una lega Nichel-base normalmente impiegata in applicazioni ad alta temperatura e alto stress meccanico. Vi era un sistema di doppia sovralimentazione: un turbocompressore KKK k27 con in più un compressore volumetrico Volumex, brevettato dalla Abarth (Tipo R18). Il vantaggio del Volumex era di “spingere” già a 1.500 giri/min, mentre la potenza “pura” veniva invece dal turbocompressore KKK a gas di scarico; l’unione dei due sistemi permise elasticità e potenza. I due sistemi di sovralimentazione vennero accoppiati, escludendo il Volumex agli alti regimi di rotazione dove funzionava invece solo il turbocompressore.

La Delta S4 in versione stradale aveva 250 CV, la versione da gara al debutto nel 1985 ne aveva 450, mentre l’ultima evoluzione schierata nel campionato mondiale 1986 poteva sviluppare per brevi tratti anche potenze nell’ordine dei 530 CV con una pressione di sovralimentazione di 2,3 bar tramite un overboost regolabile dall’abitacolo.

Il telaio aveva una struttura reticolare di tubi saldati al Ni-Cr, per poter essere facilmente riparabile e permettere all’assistenza di raggiungere con facilità tutti gli organi meccanici, mantenendo una sufficiente leggerezza. Le sospensioni erano a parallelogramma deformabile, progettate per sopportare una accelerazione otto volte superiore a quella di gravità. Le anteriori avevano molla e ammortizzatore coassiale, mentre le posteriori (doppie) avevano l’ammortizzatore esterno alla molla, per sopportare il maggior peso (57% del carico, più trasferimento di peso in accelerazione). L’escursione era di 250 mm.

La trasmissione si avvaleva di un cambio ad innesti frontali, con albero primario cavo; il moto arrivava alla parte posteriore dell’albero attraverso una sottile barra concentrica, che si torce per rapidi aumenti di coppia sollecitando meno il cambio. Si avvaleva inoltre di un ripartitore centrale di coppia costituito da un rotismo epicicloidale sul terzo asse, munito di giunto Ferguson autobloccante. Infatti il semplice differenziale impone parità di coppia; se uno dei due assi si trova in zona a bassa aderenza si verifica uno slittamento, e il differenziale riduce moltissimo la coppia trasmessa anche all’altro asse, limitando la trazione.

Per impedire ciò occorre inibire delle forti differenze nella velocità di rotazione dei due assi. Il giunto Ferguson è costituito da due armature, una interna ed una esterna, con due serie di dischi forati ed affacciati tra loro; l’intero giunto è poi sigillato, e riempito parzialmente di un liquido siliconico viscoso. Se c’è una velocità di rotazione relativa tra le due armature, il liquido è costretto a laminare fra disco e disco, e attraverso i fori nei dischi, esercitando una coppia frenante e riscaldandosi. Oltre una certa temperatura la coppia frenante si impenna, ottenendo la saldatura di presa diretta del giunto: grazie a questo effetto, in caso di rottura di un semiasse, in breve tempo il Ferguson si blocca e il veicolo può proseguire.

I primi test tecnici della Delta S4 furono seguiti da Giorgio Pianta, allora capo collaudatore dell’Abarth. A partire dall’estate 1985, Cesare Fiorio, responsabile Squadra Corse Lancia, affidò al pilota italiano Miki Biasion lo sviluppo della vettura. La distribuzione della potenza sulle ruote nell’ambito della trazione integrale era stabilita su due standard fissi: a seconda degli impieghi si poteva scegliere l’opzione del 20% all’avantreno e 80% al retrotreno, oppure quella del 35% e 65%.