Gli eroi Lancia e il Gruppo B: una fantastica avventura
Sebbene mostri come la Peugeot 205 e le successive versioni dell’Audi Quattro esprimano bene la potenza massima del Gruppo B, molti vedono nella Lancia Rally 037 e nella Delta S4 – guidate dal carismatico quartetto composto da Toivonen, Alén, Biasion e Bettega – la massima espressione di tutto ciò che c’era di sublime e libidinoso ma anche apocalittico.
È un’era, quella del Gruppo B per i rally, ricordata con affetto, nostalgia e sgomento allo stesso tempo: i mostri del Gruppo B di Lancia, Audi, Peugeot e tutti gli altri guidati e sviluppati da veri e propri eroi come Henri Toivonen, Walter Rohrl e Ari Vatanen hanno lasciato un segno indelebile.
Alcuni dei principali protagonisti di quella che fu principalmente l’epopea Lancia, il Made in Italy che trainò il Mondiale Rally a livelli mai più visti hanno voluto ricordare quello che è stato in un certo senso l’epoca d’oro della specialità regina delle corse su strada, ma anche un periodo segnato dal sangue, “che si è concluso con una tragedia quasi inevitabile – afferma lo stesso Markku Alén, leggenda del WRC – i segnali di pericolo erano sempre lì davanti a noi, ma fu una bellissima avventura”.
Sebbene mostri come la Peugeot 205 e le successive versioni dell’Audi Quattro esprimano bene la potenza massima del Gruppo B, molti vedono nella Lancia Rally 037 e nella Delta S4 – guidate dal carismatico quartetto composto da Toivonen, Alén, Biasion e Bettega – la massima espressione di tutto ciò che c’era di sublime e libidinoso ma anche apocalittico, insomma di bello e di terribile contemporaneamente. Un sogno e un incubo.

L’incredibile 037 è stato il primo vero “missile” che ha portato i piloti in un viaggio verso il trionfo e infine verso la tragedia. Alén ricorda com’era faticoso sfruttare l’enorme potenza di una macchina del genere. “Era potente sull’asfalto”, racconta la leggenda finlandese. “Era una vera macchina da corsa e con lei sono riuscito a vincere due volte in Corsica. Il primo finlandese a farlo, quando il rally durava 13 ore solo di guida. Era un’auto bella e facile da guidare e da riparare. Non ho mai avuto un incidente con una 037 e in effetti non ne ho mai fatto nemmeno uno”.
Non tutti però furono così fortunati con l’elegante e bassa 037. Lo sa bene Alessandro Bettega, figlio del defunto e indimenticato “Uomo tranquillo” della Lancia, Attillio. L’italiano si era già rotto entrambe le gambe in un incidente con la 037 in Corsica nel 1982, poi perse la vita nello stesso rally tre anni dopo quando un albero ruppe il sedile del pilota, uccidendolo.
Il Gruppo B era la massima espressione del rally ma c’erano molti rischi da mettere in conto e alcune persone, come Attilio, ne hanno pagato il prezzo più alto e ingiusto. In quel periodo i rally si erano allontanati dalle proprie radici, nel senso che la storia di questo sport si basa su auto derivate dalla produzione di serie, e il Gruppo B è quanto di più lontano si possa immaginare rispetto ad un’auto ad uso quotidiano.

Peccato che non ne abbia avuto il tempo. La successiva generazione di vetture del Gruppo A sarebbe stata forse più adatta alla guida di Attilio Bettega, che inevitabilmente farà sempre parte della storia del Gruppo B. Ma qualcuno di voi riesce ad immaginare Attilio con la Delta HF Integrale cosa sarebbe stato in grado di fare?
Tornado alla realtà, dopo la Lancia Rally 037 arrivò la Delta S4, forse la macchina del Gruppo B per eccellenza, mai così tanto potente e gloriosa (mostruosa?) come tra le mani di Henri Toivonen. “La S4 era una discendente diretta della 037: l’innovativo motore Abarth turbocompresso e sovralimentato è stato utilizzato per la prima volta sul retro di una 037 modificata come prototipo”, ricorda Alén. “Ma la potenza folle rendeva necessario un sistema di trazione integrale, per dare finalmente alla Lancia un mezzo in grado di competere con l’Audi Quattro e la Peugeot 205 T16”.
“La Delta S4 è il punto di non ritorno, in cui si è davvero raggiunto l’apice”, spiegava Ninni Russo, team manager Lancia. “Alla fine chiedevamo ad auto con la stessa potenza delle Formula 1 di un paio d’anni prima di scendere sulle prove speciali sterrate dell’Acropoli o sulle strade di montagna della Corsica. Era qualcosa che a volte mi faceva sentire a disagio, c’era sempre una certa ansia”. E sì, perché non si sapeva mai come poteva andare a finire.

“La S4 era molto più un’auto da sterrato rispetto alla 037”, aggiunge Alén. “Sebbene fossero vetture diverse, in realtà dovevi guidarle più o meno allo stesso modo: molto pulito. La S4 non ha mai avuto una coppia fantastica fin dall’inizio, quindi era importante farla stare allegra e mantenere lo slancio, e quello era fondamentalmente lo stile di guida da adottare, che però non era così facile. Ma la 037 e la S4 erano le due migliori vetture”.
Fu di nuovo in Corsica, ma un anno dopo, nel 1986, che il Gruppo B fu testimone del suo atto più brutale, che alla fine portò alla sua rapida scomparsa. Toivonen e il copilota Sergio Cresta uscirono di strada mentre erano in testa perché alla S4 cedette la ruota anteriore destra, come spiegato sul libro Toivo. Toivonen e Cresto morirono carbonizzati: Alén fu tra i primi ad arrivare sul luogo dell’incidente.
“L’incidente di Henri e Sergio è il ricordo più orribile della mia vita”, dice Alén. “Sono arrivato circa due minuti dopo l’accaduto ed era ovvio che non potevo fare nulla. Mi sentivo impotente. Per circa un mese tornai a casa e non guidai più l’auto. Poi c’era l’Acropolis Rally e così tornai al volante della S4 per una sessione di test in Italia, a La Mandria, alle porte di Torino”.
Nonostante abbia continuato a gareggiare, Alén sottolinea il profondo effetto che quegli eventi hanno avuto anche su di lui: nulla fu più come prima. “Non era cambiato davvero nulla, ma era cambiato tutto”, dice. “Adoro il Gruppo B e lo amerò sempre e per sempre, nel bene e nel male. Il problema è che con la morte di Attilio, Henri e Sergio quell’epoca fu macchiata per sempre”.
“La paura è una cosa difficile di cui parlare, ma è sempre stata lì – va avanti Alén –. Non ha mai realmente influenzato la mia attitudine al rischio, se non rischiavi non guadagnavi. Immagino che i segnali di pericolo siano sempre stati lì, sotto gli occhi di tutti noi che non volevamo vederli per incoscienza e per paura. Non ci si può assumere la responsabilità di tutto ciò che accade. Nella sua interezza fu una bellissima avventura”.