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Franco Patria: il coraggio di osare come una stella cadente

Franco Patria con la Flaminia Zagato al Targa Florio 1963

Classica faccia con sorriso da bravo ragazzo, pieno di sogni. I capelli scurissimi lo rendevano più simile ad un impiegato che ad un pilota di auto. Vincitore del Rally dei Fiori nel 1963, Franco Patria aveva coraggio di osare, grinta e bravura da vendere quando si metteva al volante. Era un fuoriclasse e poteva permettersi di mettere dietro piloti ben più esperti di lui. Questo era il Franco Patria che il destino si è portato via ad appena ventuno anni.

Avete presente quelle scie luminose con a capo una palla incandescente di colore verde tanto grandi da essere viste anche nel cielo inquinato delle metropoli? Sono meteore o stelle cadenti così veloci da essere definite “boldi”? Sono rare, ma ogni tanto possono essere avvistate. Se ce le avete presenti, anche perché viste in fotografia, potete meglio comprendere e apprezzare la storia e la carriera agonistica di Franco Patria. Anche lui era una stella cadente, che ha lasciato una scia breve, ma intensa.

Nascere al freddo del 24 febbraio 1943 a Torino e morire l’11 ottobre 1964 sulla Linas-Montlhéry sulla Abarth Simca 1300 Bialbero. A soli ventuno anni. Non si può, dice ancora oggi qualcuno, eppure capita. Come capitò a Franco Patria, una stella che cadde nel più bello dei suoi spettacolari lampi di luce. E non poteva illuminare diversamente un ventenne che abbandona la vita facendo la cosa che più ama: gareggiare in auto. Dura solo tre anni la sua storia sportiva, tranciata in un plumbeo giorno di ottobre. Tre anni di sport ai massimi livelli che bastano per lasciare l’amaro in bocca. No, non bisogna pensare a cosa sarebbe potuto divenire in futuro Patria.

Nato a Torino nel 1943, cresce in una zona fertile per i motori, la Liguria di Ponente, dove Gigi Taramazzo è il punto di riferimento mentre Franco Patria con Amilcare Ballestrieri e Leo Cella sono le promesse. Nel 1961 prende la patente e l’anno dopo si mette in mostra: con una Lancia Appia Zagato si impone nella Cesana-Sestrière e nella Garessio-San Bernardo. Inizia la sua breve carriera con il team Grifone in squadra proprio con Cella e Taramazzo. Otto gare dopo, all’inizio del 1963, firma un contratto con la Lancia Corse come pilota ufficiale (diciotto le gare che disputa per il Marchio).

Classica faccia con sorriso da bravo ragazzo, pieno di sogni. I capelli scurissimi lo rendevano più simile ad un impiegato che ad un pilota di auto. Franco Patria aveva coraggio di osare, grinta e bravura da vendere quando si metteva al volante. Era un fuoriclasse e poteva permettersi di mettere dietro piloti ben più esperti di lui. Questo era il Franco Patria che il destino si è portato via ad appena ventuno anni, già consacrato pilota di indubbio talento e dal futuro radioso. “Era un pilota che, paragonato ad oggi, avrebbe potuto diventare Michael Schumacher”, diceva Giorgio Pianta, che con Patria corse proprio nel 1963, nel primo anno di Lancia del pilota ligure.

A proposito del 1963. A proposito di quell’anno di Lancia: nasce la HF Squadra Corse. Si correva in pista, in salita, nei rally, dappertutto. Oltre a Giorgio Pianta e Gigi Taramazzo c’erano Leo Cella, Piero Frescobaldi, Luciano Massoni ed il milanese Luigi Cabella. Sic orreva con le Flavia Coupé 1500. In qualche occasione, si è corso anche in pista con la Flaminia Coupé, prima con la GT 2.5 e poi quella con il motore di 2,8 litri. Patria si mette in luce alla 6 Ore di Brands Hatch, dove con Romolo Rossi è sesto di classe 6, alla belga Coupe Terlaemen a Zolder, dove è secondo nella stessa classe, e allo Zandvoort Trophy sull’omonima pista olandese.

Il grande centro della carriera di Franco Patria arriva in apertura di stagione con l’impensabile vittoria nel terzo Rally dei Fiori, che dal 1968 sarebbe diventato il Sanremo. Si corre tra il 22 e il 24 febbraio del 1963. La gara, ovviamente, è valida per il solo Campionato Italiano, del Mondiale ancora non c’è neppure l’ombra. Il pilota di appena venti anni si presenta al via della competizione matuziana con la Flavia Coupé ufficiale con guida a destra. Al suo fianco ha sanremese Sergio Orengo, sanremese doc.

Sulla falsariga del Rally di MonteCarlo, la gara prende il via da diverse città. Quell’anno si parte da Genova, Torino, Milano, Pisa, Imperia, Modena e Verona. Ci sono ben ottantotto partenti e solo sessantuno vedranno l’arrivo. Dopo la tappa di concentrazione le auto da rally sono chiamate ad affrontare un percorso di circa 500 chilometri nell’entroterra ligure. A fine febbraio, la neve non manca mai in abbondanza. Su un percorso tormentato e difficile, la classe di Patria viene fuori e il giovanissimo talento trionfa sulla vettura gemella di Leo Cella e Bruno Lanteri.

“Era un ragazzo sempre allegro, simpatico, spinto dall’entusiasmo. Schietto, ci si poteva fare affidamento. Io e Franco – ricordava Giorgio Pianta – eravamo grandi amici. Per lui ogni problema poteva essere superato. Non esisteva un problema insormontabile”. Se positivo è il ritratto di quell’uomo che stava sbocciando nel ragazzo natio di Torino, ancor più positivo è quello del pilota. Pianta confermò: “Sembrava nato con la macchina nel sangue. Solo Ignazio Giunti era come lui. Aveva una guida morbida, le sue traiettorie erano calcolate e perfette. Paragonandolo ad un pilota da rally lo avvicinerei a Walter Rohrl, poco spettacolare ma redditizio. Per lui vedevo un futuro in Formula 1”.

Al Tour de France del 1963, corso da Patria su una Flavia 1800, le prove in salita si alternavano a quelle in pista. Durante una cronoscalata, mai vista prima, mentre era intento a guidare a tavoletta spiegava a Pianta come sarebbe stata la strada subito dopo, pur senza averla mai affrontata. I due segnarono il miglior tempo di categoria. E poi l’anno dopo con l’Abarth Simca 2500 vinse la Stellavena-Boscochiesanuova con un tempo incredibile ancora oggi. Se l’uomo stava sbocciando in Franco, il campione era già pronto a riscuotere ciò che gli spettava: gloria e successo.

Nel 1964, Patria passa agli ordini di Carlo Abarth. Finisce direttamente nella squadra ufficiale con Hans Herrmann e Tommy Spychiger. A fine marzo, nel Trofeo Jolly Club a Monza, vince la classe con la debuttante Fiat Abarth 595. Due settimane dopo fa l’assoluto a Stellavena, altri quindici giorni e si aggiudica la Coppa Gran Turismo Trofeo Shell a Imola. I successi aumentano, in Italia ed all’estero. A fine giugno fa esordire vittoriosamente alla Predappio-Rocca delle Caminate la monoposto di Formula 3. A metà luglio con l’Abarth Simca 2000 si aggiudica la classica Trieste-Villa Opicina.

Infila altri successi. Il 20 settembre fa la conoscenza del circuito francese di Monthlery: alla Coupe de Paris è primo nella classe Turismo 850 cc sulla Fiat Abarth 850 TC e nella GT 2.000 cc con l’Abarth Simca 2000. Il 4 ottobre, sullo stesso tracciato, altre due vittorie di classe nella Coupe de Salon. Un settimana dopo Monthlery avrebbe ospitato l’importante 1000 Km di Parigi, prova del Mondiale Marche. Quel trionfale 1964 lo spinge in alto. Tanto in alto. Forse troppo. E si sa, le vertigini possono giocare brutti scherzi.

Così succede che sul finire della stagione, a ventuno anni, viene nominato direttore sportivo dell’Abarth in virtù dei successi raggiunti. Per lui si preannuncia un passaggio alla Ferrari nella squadra Prototipi. Prima delle vacanze c’è la 1000 Km di Parigi a Monthlery. È l’11 ottobre. Su un’Abarth Simca 1300 corre con il conterraneo Gigi Taramazzo. Piove. Patria ha appena ripreso il volante dopo una sosta ai box, sta rientrando in pista dove sopraggiunge Peter Lindner.

Dal curvone sopraelevato esce a tutta velocità la Jaguar metallizzata di Peter Lindner, importatore per la Germania delle vetture realizzate dalla Casa inglese e fanatico del Marchio al punto di acquistare la VDU881, la Jaguar personale con la quale è morto Mike Hawthorn. La Jaguar di Lindner non è una E-Type normale, è una “light-wheigt”, uno dei modelli da competizione realizzati nei primi anni Sessanta per competere con le Ferrai GTO e le Aston Martin.

Sono vetture nervose, le Jaguar. Bisogna saperle controllare. La visibilità è scarsissima, il fondo è quello che è, con un pericoloso problema di scarsissima aderenza segnalato e ignorato. La E-Type non è nuova a brutti scherzi. Ha già tradito un pilota esperto come Roy Salvadori, vivo per miracolo. Questa volta tradisce Lindner. In uscita di curva, sbanda e punta diritta verso i box, separati dal tracciato solo da una cortina di balle di paglia. Le investe, decolla e piomba sull’Abarth di Franco, ancora ferma, e su tre commissari che sono. Muoiono tutti.

Quel giorno, la luce di Franco Patria si spegne per sempre. Anzi no. Inizia a splendere nel cuore e nella mente degli appassionati italiani che lo ricordano da sempre come uno dei mancati campioni (Renato Ronco, giornalista di TMC, gli ha dedicato un bellissimo libro edito dalla casa editrice monegasca Ephedis e dedicato a lui e a Leo Cella, Carriere Spezzate) su cui la sfortuna si è accanita particolarmente bene.