Dalla Lancia Trevi Bimotore a Mazinga per arrivare alla S4
Mazinga o in giapponese マジンガーZ è stato un popolare fumetto manga andato in onda sulla televisione giapponese dal 1972 al 1974, che è diventato anche un grande successo televisivo in Italia, con la sua canzone che spesso viene mixata anche in discoteca. Ma come si lega l’omonimo robot della serie alla Lancia e al suo mostro da rally?
Il 1983 per Lancia fu un anno fondamentale poiché nel primo anno completo con la Rally 037 vinse il Campionato Costruttori, ma Walter Röhrl perse il titolo piloti contro il compagno di squadra finlandese dell’Audi, Hannu Mikkola. L’ambiziosa squadra torinese era chiamata a confermarsi ancora più competitiva nel nuovo anno, visto che la trazione integrale era ormai arrivata per rimanere stabilmente nel WRC e prendere a sberle i Costruttori con le vetture a due ruote motrici. L’Audi avrebbe presentato la Sport Quattro e anche la Peugeot sarebbe entrata a gamba tesa con la 205 T16.
A Torino la necessità di migliorarsi era un imperativo categorico, la squadra di Lombardi, Limone, Fiorio, Pianta e Russo, insieme ai loro soci, saltò qualsiasi bioritmo per rispettare la scadenza del 1 gennaio 1984 per il lancio della Rally 037 Evo2. Allo stesso tempo, era stato dato il via libera allo sviluppo di un altro progetto, anche questo piuttosto innovativo e ambizioso. Anzi, di più.
All’epoca, l’Abarth stava sperimentando il doppio turbocompressore sui motori. I vantaggi di questa idea erano legati alla combinazione di compressore (che la 037 già aveva) e turbo per diminuire la perdita di potenza (ai bassi regimi compressore volumex, agli alti regimi il turbocompressore). Costruire un prototipo da zero sarebbe stato molto più costoso e i tempi si sarebbero allungati a dismisura. Quindi si decise di usare il prototipo con il numero di telaio 003 della 037 come muletto/macchina da lavoro per i test.
Le modifiche alla 037 erano state inizialmente apportate solo nella parte posteriore, con una copertura del motore sovradimensionata e uno spoiler abbinato per produrre il carico aerodinamico. Il tutto serviva ad avere delle prime impressioni, mentre la parte anteriore era rimasta invariata. All’inizio chi non sapeva parlava, addirittura, di una 037 berlina. Il suo nome, invece, era Mazinga! Come il manga giapponese.
Nel luglio 1983, Mazinga adottava una prima versione del motore, con una potenza che raggiungeva o addirittura superava i 700 cavalli (da qui nacquero le leggende metropolitane sui 500/600/700/800/900 cavalli delle Delta S4) e che, tra le altre cose, scaricava ancora solo sulle ruote posteriori. Inguidabile e ingestibile, ma le basi almeno c’erano. Ed erano pure “esplosive”. Meglio che niente. Si decise quindi di continuare a sviluppare in questa direzione, che avrebbe portato alla S4.

Prima di Mazinga la Trevi Volumex
Ma come si arrivò a Mazinga? C’è un’altra storia che si collega a questa che deve essere raccontata. Nel 1984 la Lancia deve sostituire la 037 a trazione posteriore che ha già compiuto il miracolo di vincere il Mondiale Marche l’anno precedente battendo le emergenti Audi e Peugeot dotate di trazione integrale. La superiorità tecnica però è tanto evidente quanto la necessità che la nuova arma da rally sia a trazione integrale.
Nello stabilimento di Chivasso è Giorgio Pianta (eclettico pilota, collaudatore e team manager Abarth) a progettare e realizzare una vettura che per avere la trazione sulle quattro ruote utilizza due motori. Base di partenza è la nuova Lancia Trevi Volumex, dotata del motore due litri con compressore volumentrico che offre quella coppia in basso fondamentale per vincere nei rally.
Al posto del divano posteriore Giorgio Pianta avre un varco nella parte posteriore della scocca per ospitare un sottotelaio (come quello anteriore) sul quale montare il secondo motore, identico al primo. In pratica tutto l’avantreno, motore, cambio e sospensioni, è duplicato al retrotreno. Le porte posteriori vengono saldate e “aperte” da ampie prese d’aria per raffreddare il motore centrale. Anche il deflettore sul montate posteriore viene aperto per fornire aria all’aspirazione.
Malgrado la livrea rossa e la fascia coi colori di Torino richiami l’amaranto Montebello delle gloriose Fulvia HF, la Trevi Bimotore non ha decisamente la vocazione sportiva e “corsaiola”, ma si rivela un’efficace vettura laboratorio.
I due motori non hanno accoppiamenti meccanici, solo i due cambi sono raccordati in modo da essere azionati da una sola leva e con un solo pedale si agisce sulle due frizioni, mentre i due acceleratori sono comandati da un rudimentale sistema elettronico per poter decidere il ritardo con cui fornire potenza al retrotreno. In questo modo Pianta cerca di ridurre il sovrasterzo e rendere più veloce l’uscita dalle curve per ottenere il massimo dalla sua originale “creatura”.
Il cruscotto ha due contagiri, il secondo al posto del tachimetro, e i due strumenti centrali hanno temperatura dell’acqua e pressione dell’olio di ciascun motore. La plancia “lunare” è quella di serie disegnata da Mario Bellini, con qualche spia modificata per avere sotto controllo entrambi i motori. La vettura è veloce e molto efficace ma manifesta la tendenza al surriscaldamento del motore posteriore oltre che l’inevitabile sovrappeso della meccanica doppia.
La soluzione non viene adottata sull’erede della Lancia Rally, la Delta S4, ma curiosamente qualche analogia si ritrova nella versione stradale della S4: ad esempio la collocazione del motore centrale, chiuso in una “cassa” rivestita dalla stessa moquette beige degli interni, esattamente la soluzione impiegata da Pianta nella Trevi Bimotore. Non solo: anche i cerchi scomponibili sono gli stessi della S4 stradale, perché la Trevi Bimotore viene utilizzata per collaudare gli speciali pneumatici Pirelli prodotti proprio per la nuova Lancia.