Colin Clark: ”Robert Kubica mi ha fatto ricredere sulla F1”
Stavano testando il lunedì prima dell’inizio della gara. I test del lunedì sono generalmente molto rilassati, con poca o nessuna presenza di giornalisti e al massimo venti auto. È un’ottima opportunità per parlare con i piloti in ambienti più rilassati, meno frenetici. Quel giorno Colin Clark capì che, per Robert Kubica, il ritorno alle gare dopo l’incidente era una sfida. La più grande sfida. Mai una disabilità, l’ha sempre e solo definita una limitazione. E i limiti possono essere superati.
Colin Clark rivela che Robert Kubica gli ha radicalmente cambiato la visione dei piloti della F1. E grazie ai “ricordi” di Facebook. “Il feed del social mi ha ricordato che un’anno prima ero appena tornato sull’incantevole isola della Sardegna, pensandoalle glorie di Rally di Italia. Perché Kubica mi riporta in Sardegna? È davvero molto semplice. Al Rally Italia Sardegna 2013, per la prima e unica volta in vita mia mi è stato chiesto un selfie con un vincitore di una gara di Formula 1. E nessuno sa che è stato Robert a chiedermi il selfie”, racconta Colin Clark.
Colin Clark è un’istituzione e non avrebbe bisogno di nessuna introduzione, ma una buona norma giornalistica ci costringe a ricordare che la sua è la voce di WRC. Giornalista e bravissimo filmaker dotato di stile e passione inconfondibili. Insomma, lui, premette: “Prima di approfondire quella particolare storia, concedimi e permettimi di raccontarti un po’ di quello che ho imparato sulla più grande star automobilistica della Polonia, appunto Robert Kubica. Il mio primo incontro con Kubica risale al Rally del Portogallo del 2013 e, a dire il vero, non avevo idea di cosa aspettarmi da lui”.
Ovviamente sapeva che aveva avuto una carriera enormemente promettente in F1 e anche nei rally e, quest’ultima, apparentemente interrotta dal terribile incidente alla Ronde di Andora due anni prima, ma sapeva poco sull’uomo. “A dire il vero, le mie esperienze con le stelle della F1 e della MotoGP negli anni precedenti mi avevano dato una visione un po’ contrariata degli dei delle “gare tonde”. Kimi Raikkonen a malapena rispondeva alle mie domande al fine tappa durante la sua permanenza nel Mondiale Rally”.
“Nelle sue gare WRC, Valentino Rossi si circondava di così tanti PR che avresti anche potuto pensare che fossero tutti al Rally della Nuova Zelanda per aiutare a tappare il buco nello strato di ozono. Entrambi i nostri campioni del circuito erano in realtà personaggi accettabili che, a mio avviso, avevano sviluppato una buona dose di cinismo mediatico nato da molti anni di lavoro con giornali tabloid molto aggressivi. O forse non piacevamo a noi, non lo so”. Ma l’apprezzabile realtà è questa.
“Per questo, in base alle mie precedenti esperienze, non sapevo davvero cosa aspettarmi a quel test ufficiale del WRC2 per il Rally del Portogallo. Kubica stava facendo il suo debutto nel Mondiale con una Citroen DS3 RRC, un’auto da rally detunizzata. Sebbene non facesse ufficialmente parte del team Citroen, eravamo stati avvertiti di PR Citroen che in nessun caso dovevamo avvicinarci a Kubica per le interviste. Come puoi immaginare, questo aggiungevafumo alla mia visione un po’ scettica sulle star della F1 che passavano dai rally”, racconta ancora Colin Clark.
Stavano testando il lunedì prima dell’inizio della gara. I test del lunedì sono generalmente molto rilassati, con poca o nessuna presenza di giornalisti e al massimo venti auto. È un’ottima opportunità per parlare con i piloti in ambienti più rilassati, meno frenetici. “Mi sono comportato come da istruzioni e mi sono tenuto a distanza dall’imponente servizio di assistenza di Kubica. Ma la curiosità ha avuto la meglio su di me e all’ora di pranzo il mio cameraman e io siamo passati per dare un’occhiata più da vicino alla macchina di Robert Kubica, che sembrava coperta di carta stagnola”.
“Si presentò un’opportunità da non ignorare. Mentre stavo ammirando la macchina, Kubica si girò. Ora cosa faccio? Ho un microfono, un cameraman e mille domande da porre. Ma nella mia mente c’era già un PR francese arrabbiato che urlava: “No domande!”. Ma siccome ancora nessun PR si era presentato pensavo che, di solito, sono molto rispettoso delle richieste fatte dagli uffici di pubbliche relazioni. Però ero combattuto: “Sì, no, sì, no”. Kubica si avvicinò e salutò. Io ero un po’ sorpreso e balbettai un “Sono Colin della Rally Radio”. “Non c’è bisogno che ti presenti, so esattamente chi sei, ascolto sempre Rally Radio”, mi rispose Robert”.
“La mia innata sfiducia verso tutto ciò che è F1 è svanita. Ho ottenuto la mia intervista e quello è stato l’inizio di una grande amicizia che ho avuto con Robert Kubica. Quando lo conobbi meglio, cominciai a capire quanto fosse una persona davvero speciale. Kubica è un pilota disabile, ma non lo sentirai mai lamentarsi di nulla. La sua lesione all’avambraccio destro sarebbe stata sufficiente a porre fine a qualsiasi pensiero per una futura carriera automobilistica per la stragrande maggioranza dei piloti. Ma non per Kubica”.
In effetti, per Robert Kubica, il ritorno alle gare dopo l’incidente fu una sfida. La più grande sfida. Mai una disabilità, l’ha sempre e solo definita una limitazione. E i limiti possono essere superati. Ma solo con l’approccio più determinato, tenace e risoluto. E questo è Kubica. “In quella prima intervista ha parlato deirally come pietra miliare nel suo viaggio di ritorno in F1. Devo ammettere che non ero convinto che sarebbe mai successo. In quei primi giorni del suo ritorno sembrava che il massimo livello del motorsport mondiale fosse tristemente irraggiungibile. Ma quando lo ho ascoltato, ho capito che credeva fermamente in quello che stava dicendo”.
“Essere positivi, ci viene detto, è un aspettofondamentale del recupero dalle avversità. E abbastanza spesso la positività che vediamo è solo una stampella per aiutare qualcuno in un difficile e doloroso percorso. Ma questo non è mai stato il caso di Robert. La sua fiducia nella sua guarigione, nel suo talento, nelle sue capacità e nel suo destino bruciavano. Sarebbero stati accecanti per chiunque avesse avuto il privilegio di trascorrere del tempo con lui”.
Kubica sapeva che un giorno sarebbe tornato in F1. Ma prima doveva mettersi alla prova nel mondo degli osservatori e vincere nel WRC. E per farlo ha avuto bisogno di un po’ di aiuto anche da parte di un giornalista come Colin Clark, un’istituzione nel mondo dell’informazione internazionale. “Torniamo alla storia dei selfie. Robert non ha vinto in Portogallo, ma ha vinto per la prima volta nel WRC2 un paio di gare dopo, in Grecia. Dopo la conferenza stampa post rally, dovevo solo fare un selfie con il mio nuovo pilota preferito in campionato, Kubica”.
“In Sardegna, Kubica vince ancora e io sono seduto in fondo alla sala stampa a godermi la conferenza stampa post rally. Mentre Robert passeggia stringendo ancora tra le mani la bottiglia di champagne, si gira e mi chiede: “Ehi, Colin che ne dici di un selfie?” Sono assolutamente d’accordo! Quindi, sorridendo come un gatto del Cheshire e stringendo la bottiglia scattiamo il selfie. Kubica è scaramantico. Quindi, siccome ha continuato a vincere altri tre rally quell’anno, dopo ogni successo abbiamo continuato il rituale con i nostri selfie”.