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CIR 1986: quando da Lancista mi ritrovai a tifar Peugeot

Andrea Zanussi al Rally Lana 1986 con la Peugeot 205 T16

Affiancato dalla S4 di Cerrato, che tornava ‘trullo-trullo’ dai test per Limone circolando pacioso per la città con le slick sotto come fosse un qualunque torinese che torna a casa dopo il lavoro. Era quello un modo di vivere ed intendere l’automobilismo che la diceva lunga sulla valenza di quell’epoca straodinaria ed irripetibile.

DI RONNIE DEI MIRACOLI

Siccome i piloti e le macchine che hanno fatto la storia delle corse ce li raccontiamo qui su Storie di Rally direi che sì, questa è una vicenda che va assolutamente narrata. Riguarda il CIR 1986. È una storia che, come al solito, prende spunto dai ricordi personali, ma nonostante l’evidente rimbambimento è ancora ben scolpita nella zucca. È una storia di quelle che so che piacciono, fatta di macchine colorate e ruggenti, di fango asfalto e strade gremite, di fuoco, paura ed azioni sconsiderate. È soprattutto una storia di uomini, fatta di uomini.

È il 1986 e neanche ve lo sto più a ricordare quanto meravigliosamente si potesse stare in quegli anni. Ma attenzione, non parliamo del tragico ed esaltante Mondiale Rally di quella stagione, no. Qui si parla di Campionato Italiano Rally, che vede fra i pretendenti al titolo DarioCerrato, corpulento e costante driver di lunga esperienza alla guida della Lancia Delta S4 coi colori Totip (sapete che era il Totip?), e Andrea Zanussi, grintoso e tenace portacolori di Peugeot Italia, alla guida della petit 205 T16.

E che ci sarà mai da raccontare di così particolare in una storia del genere? Un campionato “minore” con due protagonisti di livello nazionale e non planetario, alla guida di vetture da primato. E allora? E allora succede che in quella stagione così particolare e cosi perfidamente feroce, da giovane visceralmente appassionato di qualsivoglia disciplina automobilistica finisco per farmi coinvolgere, speciale dopo speciale, rally dopo rally, nella storia matta di un campionato che teoricamente avrebbe avuto poco da dire rispetto agli echi che arrivavano dal WRC.

Allora come mai ero solito farmi trasportare dalle emozioni e dalle idee. E quindi logicamente da lancista convinto vedendo Cerrato su S4…. mi ritrovai in un amen a tifare Andrea Zanussi su Peugeot 205 T16. Non so il motivo. Anche perché tifavo Lancia e la creatura di Sochaux mi appariva come il nemico fatto col turbocompressore. Eppure Zanussi o niente. Cosi veloce, così grintoso, così affamato.

Dario Cerrato con la Delta S4 nel CIR 1986
Dario Cerrato con la Delta S4 nel CIR 1986

A metà stagione il ritmo cambiò improvvisamente

Le prime gare videro la bruttissima S4 (solo parzialmente salvata dalla tinta bianca arancio-verde) dettare legge con l’alfiere Peugeot teso a limitare i danni. Poi, verso metà stagione qualcosa cambiò, con il friulano di Peugeot Italia che si aggiudicò in rapida sequenza il Lanterna ed il Limone Piemonte (vado a memoria, questa è una sfida con me stesso, che Wikipedia mi sa tanto di doping) dando una svolta al campionato.

Estasiato leggevo tutto il possibile e guardavo quanto veniva trasmesso in TV, rapito in una sorta di limbo. Stavo assistendo ad una battaglia vera, ruspante ed arcigna. Avevo uno zio che lavorava a Torino e che mi giurò di essersi ritrovato una sera fermo ad un semaforo affiancato dalla S4 di Cerrato, che tornava “trullo-trullo” dai test per Limone circolando pacioso per la città con le slick sotto come fosse un qualunque torinese che torna a casa dopo il lavoro.

Era quello un modo di vivere ed intendere l’automobilismo che la diceva lunga sulla valenza di quell’epoca straodinaria ed irripetibile. Qualche anno fa, in una intervista, Cerrato confermava il suo girovagare tranquillo e sereno per Torino con il muletto per i test. D’altronde, ai tempi era normale, giusto e sano.

In quel 1986, in realtà, anche le Case sembrarono dare il giusto riconoscimento alla disputa italica: Peugeot fu la prima a muoversi dotando Zanussi della bestia definitiva, la T16 Evo 2, tale e quale a quella usata dai “tipacci” del Mondiale Rally. Come logica conseguenza, sempre più esaltato, fece tabula rasa degli avversari vincendo un po’ ovunque, portandosi in testa alla generale e stupendo anche me stesso, che mi ritrovai a tifare in maniera sempre più convinta questo tale sbucato dal nulla ed ora cosi prepotentemente inarrestabile.

La ciliegina il buon Andrea la appose nella parte iniziale del Sanremo, che vidi dal vivo. Primo assoluto, davanti a tutti i mostri sacri, mentre il povero Cerrato arrancava. Poi arrivò la celebre esclusione dalla classifica, data e revocata, ma vabbé, la sostanza non cambiò lo stato dell’arte. Andrea e la nemica francese con la quale avevo, con mia somma sorpresa, fatto la pace avevano dimostrato coi tempi di poter essere davvero un connubio da assoluta e mondiale.

Una uscita, la paura i chiodi: Rally Valle d’Aosta 1986

Vuoi mettere? Vincere quell’Italiano così inaspettatamente divenuto questione di orgoglio in quel di Sochaux avrebbe dovuto essere una formalità. Aosta, ultima prova del Campionato Italiano Rally 1986, si presenta col gusto dolce e prevedibile della passerella finale. Da quando Zanussi si era ritrovato la Evo 2 sotto le mani, Darione non aveva più avuto vita facile. E poi Zanussi ai piedi del Monte Bianco era stato addirittura spalleggiato da Bruno Saby, per ordine supremo della Casa del Leone, mica pizza e fichi. Ed invece nisba.

Una uscita, un albero, il rischio di lasciarci la vita (chiedere al suo copilota Popi Amati) e il fuoco. Stavolta almeno non assassino. Zanussi era in testa e quindi ad un passo dal titolo e dal vincere contro un pilota italiano su una macchina italiana e ciò può far nascere idee malsane. Perché non fu normale trovare chiodi in quel che restava delle gomme di Zanussi e di Saby.

Una roba fuori dal mondo che gia ai tempi lasciò molto perplesso tutto il mondo dello sport e che continua tutt’oggi ad inorridire. Uno Zanussi probabilmente scioccato e comprensibilmente poco convinto corse ancora dopo quel 1986, anche nei raid, ma in realtà tutto si era fermato a quel Valle d’Aosta, dove il campionato da brutto anatroccolo divenne principe bello e desiderato e la vicenda sportiva ed umana fu come il fuoco che brucia una pagliuzza. Lucente, intenso e breve. Ma indimenticabile.