Bisulli e Zanuccoli: vite alla Steve McQueen
”Nell’ultimo periodo si trascinava da una panchina all’altra parlando ad alta voce con il suo cane. Gli diceva che quando sarebbe morto lui lo avrebbe seguito. Venerdì sera Billy è morto, e sabato mattina Zanuccoli si è presentato in macchina sul molo di Cesenatico con il cagnolino a bordo. Ha aperto i finestrini, si è allacciato le cinture, poi ha messo la prima ed è entrato con l’auto in mare. Un uomo della marineria ha capito tutto e si è tuffato gridandogli di slacciare le cinture ma “Attila”, che in tutta la sua vita non ha mai gridato, gli risposto con un fievole no. E si è inabissato”.
A Cesena, all’alba degli anni Settanta, c’era un grande fermento rallystico, anche perché il grande Giulio Bisulli e Arturo Zanuccoli, rispettivamente pilota e copilota ufficiali della squadra corse Fiat Abarth (col mitico 124 Abarth) e gli immensi Salvatore Brai e Rudy Dal Pozzo frequentavano regolarmente lo stesso bar, che era diventato un ritrovo di tutti i “fanatici dei traversi”.
In quegli anni a San Marino, allora valido per l’Europeo, arrivavano tutti i piloti italiani più forti: Sandro Munari, Amilcare Ballestrieri, Mauro Pregliasco, Sergio Barbasio, Maurizio Verini, lo stesso Bisulli, e poi Tony Fassina, Federico Ormezzano, Pietro Polese, Aldo Fasan, Bobo Cambiaghi, Leo Pittoni, Donatella Tominz, Fulvio Bacchelli, Adartico Vudafieri, Attilio Bettega, eccetera.
All’epoca le prove speciali erano rigorosamente quasi tutte su sterrato, per i privati 4 gomme, niente meccanici, chiave a croce e ruota di scorta nel bagagliaio per sostituire la gomma in caso di foratura. Altri tempi, grandissime emozioni. Per diversi motivi, in molti hanno lasciato i rally, pur senza perdere la passione.
Giulio Bisulli e Arturo Zanuccoli fanno pare di quest’atmosfera magica che circonda la specialità regina delle corse su strada. Loro due, insieme e non separabili, incarnano alla perfezione questo periodo di ambizioni di sogni che si avverano, di uno sport che riesce ad offrire ii professionismo persino a livello nazionale. Un’epoca di eccessi, belli e irripetibili. Giulio è soprannominato “Bullit” e Arturo, beh Arturo lo chiamano “Attila”. La loro storia deve essere ricordata perché può insegnare tanto. A tutti.
Carlo Cavicchi ricorda Bisulli e Zanuccoli
“Arturo Zanuccoli è stato per anni uno dei navigatori più conosciuti e più apprezzati della leggendaria squadra Fiat nei rally”, sono le parole di Carlo Cavicchi dedicate a “Bullit” e ad “Attila”. “Erano i primi anni Settanta e lui, in coppia con Giulio Bisulli detto “Bullit” brillava oltre che per la bravura anche per un sense of humour unico. Lasciate le corse si era ritagliato la parte di uno capace di vivere, senza l’ansia quotidiana di trovare i soldi per tirare avanti. Padre notaio, fratello gemello notaio, e lui a collezionare avventure: quello che si direbbe fare la bella vita. Poi la vecchiaia che avanza, forse la sola vera donna amata che scappa via, il fratello che muore e Arturo, “Attila” per tutti, è rimasto solo con il suo cagnolino Billy”.
“Conoscenti mi raccontano che nell’ultimo periodo si trascinava da una panchina all’altra parlando ad alta voce con il suo cane. Gli diceva che quando sarebbe morto lui lo avrebbe seguito. Venerdì sera Billy è morto, e sabato mattina Zanuccoli si è presentato in macchina sul molo di Cesenatico con il cagnolino a bordo. Ha aperto i finestrini, si è allacciato le cinture, poi ha messo la prima ed è entrato con l’auto in mare. Un uomo della marineria ha capito tutto e si è tuffato gridandogli di slacciare le cinture ma “Attila”, che in tutta la sua vita non ha mai gridato, gli risposto con un fievole no. E si è inabissato”.
“Vi chiederete perché vi ho raccontato questa triste storia – conclude Carlo Cavicchi – e la risposta è che il mondo dei piloti è ricco di vicende che si faticano ad accettare e di finali che lasciano senza parole. Enzo Ferrari coniò una definizione straordinaria nella sua semplicità: “piloti che gente”.

”Bullit” e ”Attila”: il racconto di Donazzan
In vita, nel suo best seller edito da Giorgio Nada Editore Giunti, Sotto il Segno dei Rally 1, Beppe Donazzan raccontava di Giulio Bisulli e di Arturo Zanuccoli, “Bullit” e “Attila” col suo fare misto tra il romanzo e la poesia. Di seguito le parole del giornalista veneto riportate sull’opera in libreria.
“Era il suo rally, San Marino. Vicino alla sua Cesena, conosceva le strade, le curve, i saliscendi che toglievano il fiato quando venivano affrontati in piena velocità. Amava alla follia quelle colline di Romagna che, in primavera, erano un’esplosione di colori. Assieme ad Arturo Zanuccoli, amico prima che navigatore, l’avevano già vinto nel 1972 quel rally, con la 124 Abarth 1600. Più che vinto, dominato, con cinque successi nelle prove speciali, anche se furono agevolati dai ritiri di Paganelli, suo compagno in Fiat e da Ballestrieri con la Fulvia HF. Comunque sia, erano i più forti. Perfino nella prima speciale, in programma sulla pista dell’autodromo Santa Monica di Misano Adriatico, andarono fortissimo, finendo quinti sulla scia di Ballestrieri, delle Alpine di Paleari, Ricci e di Paganelli, con la nuovissima 124 spider 1800. Avevano festeggiato fino a tardi nella simpatica “Piadina party”, organizzata al termine della premiazione”.
“Nell’ambiente erano conosciuti come “Bullit” e “Attila”. Giulio era “Bullit”, il personaggio interpretato da Steve Mac Queen nel film uscito nel 1968, famoso per le immagini spettacolari degli inseguimenti lungo le strade di San Francisco. Le sfide del tenente di polizia alla guida della Ford Mustang, nei confronti di un Dodge Charger”.
“Giulio era così nella realtà, sempre con il piede giù nei rally, derapate e controsterzi affinati proprio su quei viottoli polverosi della sua regione. Simpatico, gioviale, determinato, funambolico, era stato facile affibbiargli quel soprannome”.
“Arturo era “Attila”, alto, dinoccolato, sempre pronto alle battute, donnaiolo incallito, non se ne lasciava scappare una. “Flagello di Dio”, appunto. Figlio di notaio, un fratello gemello anch’egli notaio, non aveva mai avuto nessun problema economico. Viveva di notte e pensava a correre”.
“Al contrario di Giulio, titolare dell’hotel Derby a Cervia, che per l’intera estate era impegnato giorno e notte nella gestione dell’attività. Iniziarono a correre assieme al rally di Sanremo 1969. Bisulli aveva una lunga esperienza di regolarità con Porsche, con le prime Fulvia HF e, nel suo curriculum, figurava perfino una partecipazione ad un Tour de Corse. Conquistò un terzo posto di classe al volante di un’Abarth OT 1300, motore Fiat 124, montato su una scocca 850 coupé. Fu preparata da Ricci di Cesena che, per l’occasione, gli fece anche da navigatore. Aveva un passato”.
“Arturo invece non sapeva nemmeno cosa fosse un rally. Gli dovette spiegare tutto. Una Fiat 124 Special, completamente di serie, due fari supplementari e dei paraspruzzi posteriori, il tutto. Partirono con il numero 43 e fu una corsa da incubo. Neve, pioggia, fango, incontrarono di tutto lungo i 1500 km di quel rally. Partirono in 89, arrivarono in 26. Nella corsa del successo di Kallstro-Haggbon e della Fulvia HF R anche loro furono tra i tanti costretti ad alzare bandiera bianca”.
“Iniziò così, con un ritiro, poi la loro carriera fu tutta un’escalation. Furono tra i primi ad entrare nella grande famiglia della Fiat. Sempre nel 1969 conquistarono un primo e un secondo posto di Gruppo uno al rally delle Alpi Orientali e al Sestriere. L’anno seguente esordirono sulla 125 S, macchina sulla quale la Casa torinese puntava moltissimo. Finirono terzi assoluti in una gara massacrante come l’isola d’Elba”.
“Ancora all’Elba ripeterono risultato e prestazione, confermata dal quinto posto al rally d’Italia. Alla fine della stagione il campionato tricolore del Turismo di serie era loro. Il titolo più ambito per la Fiat”.
“Il premio fu il passaggio alla guida della 124 spider. Dopo la vittoria “di casa” nel 1972, rieccoli sulle loro strade, bianche. Bianche di neve, in questa occasione. Così si erano ricordati di quell’ormai lontano esordio al rally d’Italia. Partirono carichi, decisi a fare una bella figura. Davanti ai loro compagni di squadra”.
“La Lancia aveva disertato optando per la 24 Ore di Chamonix, così fu lo squadrone, guidato dal direttore sportivo Gianfranco Silecchia, a lottare per il successo”.
“Verini, Bacchelli e, le sempre ammalatissime, “mule” Tominz-Mamolo, la sfida in famiglia. Tra gli altri avversari il giovane friulano Claudio De Eccher, con la Porsche Gruppo tre della scuderia Biancazzurra diretta Arnaldo Cavallari, ad avere qualche chance. L’inizio fu tribolato. Alle verifiche le 124 ufficiali, presentavano portiere cofani alleggeriti, e così vennero inserite nella lista dei partenti sub judice, perché non era ancora arrivata alla Csai l’estensione dell’omologazione”.
“All’interno delle portiere non era presente nemmeno il meccanismo e ciò innervosì non poco il commissario tecnico ing. Caneschi. Silecchia, come di consueto, fu abilissimo nell’allentare le tensioni. Che vennero risolte al termine della gara con una semplice ammonizione nei confronti della Casa torinese”.
“Furono le 124 a dominare subito. Bacchelli, Verini e Bisulli, naturalmente, furono, alternativamente, i più veloci malgrado le avverse condizioni atmosferiche. Fu la nebbia a condizionare non poco le performance. A metà della seconda tappa, con visibilità praticamente a zero, Bacchelli toccò violentemente la sua 124 contro un terrapieno rompendo la sospensione. Fu costretto al ritiro. La lotta si restrinse tra Maurizio Verini e Giulio Bisulli. Si risolse a favore di Giulio. Sulla macchina di Mau la Sfinge si ruppe all’improvviso il differenziale”.
“Fu una gara difficilissima, in mezzo alla nebbia e alla neve, con la scelta di gomme da terno al lotto. Pareva di essere al Montecarlo. “Bullit” guardò “Attila”. Sia pure con fortuna ce l’avevano fatta. Erano in credito con quella “dea bendata” che, spesso, li aveva colpiti quando ormai sembrava fatta. Erano felici. Vincere a casa loro, per la seconda volta, in una gara da ricordare, erano soddisfazioni ed emozioni che sarebbero proseguite. Dietro Verini si classificò De Eccher, quindi al quarto posto le bravissime ragazze Tominz-Mamolo”.
“La stagione ’74 di “Bullit” ebbe un epilogo incredibile all’inizio di ottobre al rally di Sanremo. Nella prova valida per il mondiale, nella quale si imposero Sandro Munari e Mario Mannucci, con la Stratos, omologata il giorno prima della partenza, al primo successo iridato, Bisulli – per l’occasione navigato da Francesco Rossetti – riuscì a compiere un altro capolavoro: si classificò al secondo posto assoluto, rendendo meno amara la trasferta della Fiat massacrata dagli incidenti accaduti a Paganelli, Pinto e Verini. “Bullit” aveva salvato la baracca”.
“La vita dà tanto e spesso, molto spesso, toglie tanto. Così è stato con “Bullit”, che se ne andò nel 1983 stroncato da un tumore. Aveva 47 anni. Terribile è stata con “Attila”. Dopo la morte del fratello gli era rimasto accanto soltanto Billy, il suo cane. L’unico appiglio della vita. Anche questo, un giorno d’inverno 2011, scomparve. Rimase solo, Arturo. E decise, decise. La disperazione lo portò ad una scelta drammatica. Salì in macchina, appoggiò il corpicino di Billy sul sedile accanto al suo e si avviò verso il molo di Cesenatico. Aprì i finestrini, ingranò la marcia e volò giù. Si inabissò con l’auto nell’acqua gelida dell’Adriatico. Tristezza e lacrime”.